Cataldo Rizzuto e il Modica calcio: il più grande spettacolo dei nostri week-end

Domenica 9 marzo 1980. Si gioca Modica-Trebisacce, serie D, girone F. Il terreno sabbioso del “Vincenzo Barone” è un acquitrino. Piove in abbondanza dall’alba, eppure la capacità di drenaggio di quei cento metri per sessanta evita l’eccessivo ristagno dell’acqua, per cui l’arbitro Silla di Roma dà il via alla partita.

È una delle tante sfide per evitare la retrocessione in Promozione. La classifica è cortissima. Con la vittoria che all’epoca valeva due punti, a fine torneo il Modica si piazzerà in nona posizione con 33 punti grazie alla vittoria nel finale dell’ultima drammatica gara a Grumo Nevano, mentre il Trebisacce sotto di appena una lunghezza perderà poi lo spareggio – giocato addirittura due volte – contro il Giugliano. Ogni partita è, dunque, decisiva.

Il mio amico Salvatore Di Natale, oggi stimato docente di educazione motoria, mi convince ad andare allo stadio per due motivi: nella formazione avversaria gioca Valzoni, ex portiere rossoblù dal ’73 al ’76. Al mio dubbio sulle condizioni meteo, contrappone con fermezza: “Abbiamo paura di un po’ di pioggia, noi?” No, Salvo. Certo, a 40 anni di distanza ho da obiettare sull’uso dell’avverbio di quantità, perché quel giorno Giove Pluvio non ebbe certo pietà.

Il secondo motivo è una costante da qualche anno a quella parte. Si chiama Aldo ed è l’ala destra del Modica. Noi ragazzini sappiamo che è come certi piloti di Formula 1: quando sente odore di acqua piovana, lui si esalta. Ai piedi non calza pneumatici da pioggia, ma il solito paio di scarpette con la suola di gomma. Aldo corre, dribbla, crossa palloni e fango insieme. Eppure è un calabrese, dovrebbe essere abituato al sole e al caldo. Invece no: fu così anche quella volta.

Bardati di impermeabili, cappelli di lana, scarpe alte e protezioni varie, ci posizioniamo all’altezza della panchina dei locali, sotto la tribuna A. Salvo riesce a tenere con un mano il singolare ombrello con i nostri colori sociali, mentre ascoltiamo la radiolina di qualcun altro vicino sintonizzata su “Carta Bianca”, trasmissione condotta da un giovane Massimo De Luca che dà gli aggiornamenti dei primi 45 minuti in serie A, prima di cedere la linea a “Tutto il calcio minuto per minuto”. Le ampie chiazze d’acqua sono ovunque, una di queste invade anche la zona fra il campo per destinazione e la tribuna scoperta – il “Barone” non ha mai avuto una copertura, eccetto postazioni riservate ai giornalisti  – dove i para pioggia fanno capannelle.

Il primo tempo è moscio, però verso il quarto d’ora Aldo compie la magia della giornata, una delle tante nelle sei stagioni disputate a Modica. Il numero 7 recupera palla vicino alla linea laterale, proprio di fronte a noi. Alle spalle sente arrivare l’avversario che spruzza e sbuffa. Aldo prima ferma il pallone con il destro, poi con colpo di tacco riesce a far passare la sfera sotto le gambe dell’avversario. Sugli spalti gioiamo, ma è un attimo: la sfera si ferma sulla successiva pozzanghera, dando il tempo al difensore giallorosso di recuperare e piazzarsi, stavolta frontalmente, davanti al nostro idolo. Dalla panchina e dalla tribuna gli intimiamo: “Passa!” Aldo finta un retropassaggio verso il compagno più vicino, quindi tocca con l’esterno destro e il pallone sguscia di nuovo fra le gambe del malcapitato trebisaccese: doppio tunnel, tra pozzanghere e stelle.

La gara finisce 2-1, grazie a un secondo tempo super dei locali. Aldo sigla il raddoppio con il quale, probabilmente, il Modica salva la categoria e l’anno dopo consente ai rossoblù di andare per la prima volta in C2. Ironia della sorte, proprio nell’anno in cui Aldo gioca appena due partite in cui risulta il migliore dei suoi, ma viene ceduto allo Scicli dopo uno scontro fisico con l’allenatore, Gigi Bodi, che dopo una sconfitta a Mazara alla seconda giornata lo relega in panchina e non lo utilizza più. Un affronto per chi ama la sfida dell’ “uno contro uno” e a fine partita pesa i dribbling ancor più delle reti.

Aldo è in realtà il diminutivo di Cataldo. A Modica, il numero 7 degli irraggiungibili anni Settanta ha un nome e un cognome: Cataldo Rizzuto. Il più grande spettacolo di quei week-end. 

Cataldo Rizzuto arriva a Modica nella stagione 1974-’75, proveniente dalla Viterbese. Gli offrono un ottimo contratto, secondo soltanto a quello stratosferico di Luciano Furlanis, l’anno prima capocannoniere con la maglia della Gioiese allenata da Franco Scoglio. Per lui è la seconda stagione in serie D, dopo l’esordio al Crotone in C (1969-70) e l’anno in B con l’Arezzo, nel 1971-72, con relativa chiamata nell’Under 21 della Nazionale. In un’intervista alla “Domenica Sportiva” di qualche anno dopo, Ciccio Graziani, ormai affermato centravanti del Torino e della Nazionale, compagno di squadra di Aldo ad Arezzo, alla domanda: “Chi è il giocatore più forte con cui hai giocato?”, risponde: “Potrei citare Claudio Sala o Franco Causio, però i migliori cross me li faceva Rizzuto”.

Tornante veloce, alto 1,72 m, occhi impavidi da Sioux, tanto che qualcuno gli affibbia l’appellativo di “Cavallo pazzo”, a Modica Cataldo trova la sua stabilità sportiva. In sei anni totalizza 147 presenze e 11 gol. Non sigla tante reti, tuttavia Tucci, Brunello, Francica, Baradello, Di Martino, Secondo e altri finiscono sul tabellino dei marcatori grazie a lui. La sua migliore stagione nel Modica, in termini di realizzazione, è proprio l’ultima: 4 reti in 30 presenze. Poi le prime due gare nel 1980-’81, la lite durante un allenamento, il passaggio allo Scicli dove giocherà nove gare solamente.

Quand’eravamo ragazzini e inseguivamo i sogni fra le traverse di viale Medaglie d’Oro e via Vittorio Veneto, c’era chi voleva diventare Bettega, o Altobelli, Pulici e Benetti. Altri invece esclamavano il suo cognome. Non era appagamento, bensì ammirazione pura e semplice, come i piccoli sanno offrire, per quel calciatore che vedevamo tutti i giorni. A Ragusa, per fare un altro esempio, quelli della mia generazione avrebbero risposto: “Pasquale Maida!”. 

Fuori dal campo, Aldo si posizionava all’ingresso della “latteria”, accanto a piazza Matteotti dopo avere parcheggiato una A112 Abarth, radiografando con lo sguardo tutte le belle ragazze che gli passavano davanti o sul marciapiede opposto. Anche quando passò tra le fila cremisi, abitò a Modica. O meglio: in corso Umberto.

Domenica prossima, 1 novembre, Cataldo compirà 68 anni. Riceverà gli auguri a casa sua, a Cirò Marina (Cz), da dove era partito in cerca di gloria grazie al talento che aveva incollandosi il pallone ai piedi.

Attorno alla sua figura ruotano diversi aneddoti. Racconta Liddo Di Martino, suo compagno di squadra in quegli anni: “Conoscendo il suo orgoglio, io e gli altri compagni di squadra prima di un derby contro il Ragusa gli sussurrammo una frottola per caricarlo in vista della gara della stagione: “I ragusani dicono che sei scarso”. Scopo raggiunto. In partita lui fece vedere agli azzurri tutto il suo repertorio: tunnel, palle tagliate, palla in diagonale a seguire. Non sapevano più come tenerlo, era il più forte di tutti.”

Tutto sembra bello nei ricordi. Quello era di sicuro un calcio più genuino, migliore sotto il profilo tecnico delle attuali serie minori. Non dimentichiamo lo scenario di quel drammatico anno, il 1980, bisestile. Poco più di due mesi prima del 9 marzo avevano ucciso il presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella; un mese prima la stessa sorte era toccata al vice presidente del Csm Vittorio Bachelet, dopo ammazzarono il giudice Guido Galli e il giornalista Walter Tobagi. E poi vennero la strage di Ustica e, all’estero, l’inizio della guerra Iran-Iraq, per finire l’inquietante omicidio di John Lennon. Il 28 luglio Pietro Mennea vinse l’oro a Mosca sui 200 metri. Fu bellissimo, ma appena cinque giorni dopo esplose la bomba nella stazione di Bologna.

Per noi adolescenti, guardare le partite di pallone fu una campana di vetro che ci protesse dal terrore di una società violentissima. Ecco perché abbiamo avuto più fortuna noi a vedere giocare Aldo, che lui a giocare anche per i suoi tifosi. Per me, per noi, rimarrà sempre Rizzuto. Il numero 7.

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