Caso Ciabani, il misterioso appunto entra nel rapporto finale della Commissione d’inchiesta Antimafia

L’appunto vergato a mano, rinvenuto il giorno dopo sul luogo in cui Elisabetta Ciabani morì il 22 agosto 1982 a Sampieri e che secondo il risultato di una perizia privata sarebbe stato scritto dall’ispettore di polizia Luigi Napoleoni, della quale ragusaoggi.it ha dato notizia il 21 settembre scorso, è citato nella relazione finale dell’ultima Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, nella sezione denominata “Risultanze concernenti lo studio di acquisizioni documentali circa l’operato di logge massoniche o comunque gruppi criminali attivi nel centro-Italia implicati nella scomparsa di Rossella Corazzin, e nei duplici delitti in danno di coppie nella provincia fiorentina tra il 1968 e il 1985”. Cioè: il mostro di Firenze.
Nel rapporto, che riepiloga nelle pagine 117 e 118 la misteriosa vicenda di Ciabani, archiviata come suicidio nonostante due pugnalate, una che dal pube raggiunse l’ombelico e l’altra, mortale, al cuore, è scritto: “L’eventuale presenza sul luogo del delitto di un appunto riconducibile all’ispettore Luigi Napoleoni accrescerebbe non di poco la possibilità che questi avesse lungamente svolto indagini sistematiche sui fatti di sangue connessi (anche in termini di cosiddetti eventi delittuosi collaterali) alla serie omicidiaria del “mostro” di Firenze. D’altra parte proprio tale ipotesi darebbe anche spiegazione del compimento, da parte dell’ex ispettore (deceduto nel 2007, ndr), di attività in luoghi posti al di fuori della propria competenza territoriale. L’eventuale presenza di Napoleoni a Scicli, forse addirittura il 23 agosto 1982, giorno successivo a quello della morte di Elisabetta Ciabani, e soprattutto il suo interessamento alla morte della ragazza apparirebbero difficilmente spiegabili se non si ipotizzasse che egli dovesse già trovarsi in tale località a seguito delle indagini svolte che lo avevano posto sulle tracce di qualcuno.” Quindi la conclusione: “La Commissione non ritiene di poter giungere a conclusioni compiute sul punto.”

Il risultato della perizia pro veritate, commissionato dalla ricercatrice Valeria Vecchione, è stato firmato da Francesco Rende, perito grafologo giudiziario iscritto all’albo del Tribunale di Roma, trasmesso da Vecchione al procuratore di Ragusa, Fabio D’Anna.

Ma chi era Luigi Napoleoni? Ispettore di polizia di stanza a Perugia, compì indagini sul “mostro”, spesso senza riferire i propri spostamenti e per questo richiamato ufficialmente dai superiori. Il suo nome compare, in particolare, nelle indagini sulla scomparsa del gastroenterologo Francesco Narducci, rampollo di una famiglia perugina dell’alta borghesia legata alla Massoneria, il cui cadavere venne recuperato il 13 ottobre 1985 nel lago Trasimeno dopo cinque giorni dalla sua scomparsa. Narducci era sospettato di appartenere a una setta esoterica e di tenere nascoste parti di corpo femminile che il mostro tagliava alle vittime subito dopo averle uccise. Le indagini si conclusero con una delle tante archiviazioni che a distanza di tempo continuano a non convincere: suicidio. Anche perché, come ha ricordato qualche giorno fa l’ex magistrato Giuliano Mignini in un’intervista al Giornale.it, “quella mattina accadde qualcosa di strano e, ancora oggi, non spiegato. Su quel pontile c’erano tutti. A parte i giornalisti (e verrebbe da chiedersi chi li avesse avvertiti con tanto tempismo), c’era il questore di Perugia e c’era la squadra mobile, che non erano titolati ad essere lì. La competenza di svolgere le attività di recupero del cadavere e i primi accertamenti sarebbe spettata ai carabinieri di due stazioni locali. Ma tolto questo, non vennero fatti accertamenti. C’è stata un’omissione di accertamenti di una gravità incredibile, questo va detto. Mai successa in Italia una cosa simile: non è stata fatta l’autopsia, non è stata fatta una visita esterna completa del cadavere, il quale non è stato portato in obitorio: c’è stato l’ordine di una parente, la moglie del fratello, di portarlo nella villa di San Feliciano (località affacciata sul lago Trasimeno) prima ancora che ci fosse il provvedimento del giudice di consegna ai familiari, che sarebbe intervenuto il giorno prima dei funerali, ossia più di una settimana dopo. Ma giusto per continuare a elencare le stranezze: non fu misurata la temperatura rettale, non sono state fatte le foto.” E allora? A chi apparteneva? “Forse l’avevamo identificato – dice il dottor Mignini all’intervistatore, Gianluca Zanella – poteva trattarsi di un messicano, un corriere della droga. Certo non era Narducci”.
Nel 2001 le indagini passano a Giuliano Mignini, che l’anno dopo dispone la riesumazione del cadavere. In quella bara effettivamente c’è il corpo di Narducci, sul quale risultano evidenti i segni di strangolamento: “C’era una frattura del corno superiore sinistro della cartilagine tiroidea. Dunque questo significa che l’assassino era mancino. E molto forte. Nel 1985, invece, si era parlato di annegamento ‘da probabile episodio sincopale’. Il tutto senza un’autopsia”.

Napoleoni si occupò anche di altri accertamenti sulla vicenda “mostro”. La Commissione parlamentare d’inchiesta cita il suo nome 65 volte tra le 120 pagine del dossier e afferma, tra l’altro, che l’ex ispettore fu spesso a San Casciano “quando nessun clamore o dato di effettiva rilevanza riguardava quel luogo e, a maggior ragione, si poteva conferire un qualche rilievo alla presenza in paese di Francesco Narducci” e che fu “quantomeno reticente e contraddittorio quando fu ascoltato circa le indagini su Narducci”.

Se Napoleoni iniziò a occuparsi seriamente del mostro nel 1985, si chiede la Commissione parlamentare d’inchiesta, com’è possibile che tre anni prima un suo scritto fosse ritrovato il giorno dopo nella lavanderia del Baia Saracena, in cui Elisabetta Ciabani venne rinvenuta cadavere? E perché l’appunto sul quale compaiono i numeri di tre appartamenti del Baia Saracena, fra cui quello occupato da Elisabetta e dai suoi familiari – il 6, da cui parte una freccia che finisce con tre puntini – non venne ritrovato quella domenica mattina e soltanto oltre 24 ore dopo dal giornalista Giuseppe Calabrese, all’epoca collaboratore di Video Mediterraneo? Quale mano lo aveva dimenticato o lo aveva volontariamente lasciato proprio lì? E per quale motivo? Nessuno, per tutta la giornata della domenica, si accorse nella terrazza di Baia Saracena della presenza di quella pagina strappata da un’agenda, quindi lo scritto risale allo stesso giorno del ritrovamento, il 23 agosto 1982? Domande che rimangono senza risposta, in un nugolo di altri episodi veramente inquietanti sul caso Ciabani. Due in particolare, oltre a quello ben conosciuto della sua presunta conoscenza con Susanna Cambi, uccisa dal mostro insieme al fidanzato Stefano Baldi nell’ottobre del 1981 a Travalle di Calenzano. Le due abitavano a distanza di 90 metri, stesso marciapiede, nel quartiere fiorentino di San Jacopino. Nell’era in cui non c’erano telefonini né internet e quando i giovani s’incontravano nelle piazze vere e non virtuali, sarebbe stato impossibile non conoscersi.

L’estate del 1981 Elisabetta aveva lavorato per tre mesi come cameriera nel Castello dell’Oscano, hotel nelle campagne perugine, all’epoca secondo molti meta di incontri massonici. Aveva conosciuto Narducci e poi lo avrebbe rivisto per caso a Firenze? Citiamo un esperto di esoterismo, Paolo Franceschetti, che nel 2009 scrisse: “Elisabetta che sapeva alcune cose sulla Rosa Rossa – un setta all’epoca molto attiva e potente in Umbria – e voleva parlare, era in cura da Maurizio Antonello, uno psicologo trovato morto sulle scale di casa a Trivignano il 14 maggio 2003, con un braccio appoggiato a una pila di documenti e al collo una cintura spezzata, con l’altro pezzo attaccato alla ringhiera delle scale, cintura che nessuno in famiglia aveva mai visto prima. Antonello non avrebbe lasciato scritti o manifestato l’intenzione di togliersi la vita.” L’autopsia certificò che il decesso avvenne per infarto e non per soffocamento. L’archivio cartaceo dello psicologo non venne rinvenuto e il suo computer, acceso per verificarne il contenuto, esplose subito. Inservibile. Conclusione dell’indagine: suicidio.
Tanti interrogativi e una cosa certa, in quest’intreccio: tre persone si sono auto soppresse in circostanze misteriose e singolari. Anche troppo.

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