Anniversario di Capaci: cosa resta oggi di Giovanni Falcone?

E’ stata una lunga giornata, quella di oggi, 23 maggio 2022. Tutti sanno che si commemora la strage di Capaci, quel terribile attentato in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta.
Il 23 maggio del 1992 Cosa Nostra per uccidere il magistrato fece saltare in aria praticamente un pezzo d’autostrada. Un metodo mai utilizzato prima d’ora. Capaci era un campo di guerra: forse, in quegli anni, soltanto a Beirut si erano viste immagini di quella devastazione.


Vero è che il tritolo era stato usato da Cosa Nostra per uccidere anche prima, come ad esempio nell’attentato a Rocco Chinnici, ma una tale devastazione non si era mai vista in Italia, salvo se parliamo di terrorismo.
E allora, è chiaro che il pensiero vola proprio a quel tipo di metodo: la mafia, uccidendo Giovanni Falcone, per la prima volta usa un sistema che è proprio di un’organizzazione terroristica, uscendo anche da quella tecnica “silenziosa” che mirava a colpire soltanto quando strettamente necessario. Ma per capire meglio quegli anni è necessario comprendere anche quello che successe dopo. Anche per Paolo Borsellino venne usato l’esplosivo, in via D’Amelio. Poi, iniziarono gli anni delle bombe mafiose fuori dal territorio siciliano: sono le cosiddette stragi del 1993: la mafia colpisce Firenze, via dei Georgofili, via Palestro a Milano e davanti alle chiese di San Giorgio al Velabro e San Giovanni Laterano, a Roma.


Per capire quelle stragi occorre comprendere il perché, ad un certo punto, la mafia decide di colpire il patrimonio dello Stato. E questo è il tema della trattativa Stato-Mafia, che molti si ostinano ancora a chiamare “presunta”.
Non c’è nessuna presunzione. La trattativa ci fu, come dimostrano le sentenze di primo grado e d’appello. Ed è lì la chiave di lettura che deve riuscire a darci una mano a decifrare il presente.


Con le indagini di Falcone e degli uomini del pool e poi con le condanne del maxi processo, saltano tutti gli agganci che Cosa Nostra aveva nello Stato italiano, tanto che il primo a cadere è proprio un deputato democristiano della corrente andreottiana, Salvo Lima, accusato di essere un referente della mafia corleonese di quegli anni. La mafia è a un punto morto: non riesce più ad avere interlocuzioni serie con elementi deviati dello Stato e così inizia a colpire in modo terroristico: prima Falcone, poi Borsellino e poi le stragi del ’93 fuori dal territorio siciliano. Ma ad un certo punto, tutto si ferma. Tutto si blocca. La mafia sembra tornarsene nel silenzio, è quasi impercettibile se si escludono i fenomeni locali di malavita legata al traffico di droga e al racket. Dal 1993 ad oggi la mafia non ha ucciso nessun personaggio di spicco. E’ successa quella cosa che Giovanni Falcone chiamava la “saldatura” fra mafia e una certa politica. O meglio: è accaduta la trattativa, fra Stato e mafia.


La domanda che ci poniamo è questa: Falcone è morto invano? No, non è morto invano. Innanzitutto perché ha cambiato il modo di vedere la mafia di tanti siciliani e grazie a lui e agli uomini del pool nessuno oggi ha paura a dire che la mafia esiste. Basti ricordare, infatti, che prima del maxi si dubitava perfino che la mafia come organizzazione unitaria potesse esistere, si pensava fosse un’invenzione giornalistica. Certamente, grazie a Falcone, abbiamo potuto toccare con mano come un uomo, con una solida formazione giuridica e basando tutte le sue indagini su un metodo rigoroso, abbia potuto davvero cambiare il modo di lavorare per quel genere d’indagini. E’ diventato un esempio per molti, un modello quasi irraggiungibile di coraggio e di professionalità.


Ma non basta. Il rischio che oggi si corre è che sia Falcone che Borsellino vengano relegati a immagini plastiche, senza vita. Le commemorazioni vanno benissimo, ma perché nessuno oggi pensa più che la mafia, intesa come organizzazione criminale unitaria, possa essere sconfitta? La sensazione è che questa “pax mafiosa” sia stato un clamoroso passo indietro, si sia tornato di nuovo a un punto d’origine tale per cui Cosa Nostra agisce senza tanti clamori, nel silenzio, indisturbata, proprio perché nessuno realmente sembra che abbia voglia di combatterla.


E’ impensabile che il fenomeno possa essere combattuto da singoli cittadini inermi. E’ importante, invece, che lo Stato, affrancandosi dalla retorica insopportabile che ogni volta contraddistingue queste occasioni, tuteli veramente chi vuole portare avanti la lotta a Cosa Nostra, cancro della nostra Isola e da cui purtroppo, ancora oggi, non siamo ancora guariti.

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