AMARONE FIGLIO DEL RECIOTO

L’Amarone della Valpolicella è uno dei vini italiani più conosciuti all’estero, al punto da esserlo più del Barolo. Il successo incredibile di questo vino è indubbiamente legato ad un’attenta politica di marketing, che è riuscita a portare questo prodotto in tutte tavole dei ristoranti più blasonati del mondo. Assieme al Chianti, l’Amarone è l’altra denominazione italiana onnipresente negli scaffali delle enoteche, ma anche dei supermercati dei paesi stranieri, che possiedono un numero rilevante di varietà e un alto consumo di vini. A differenza del Chianti, però, l’Amarone viene considerato esclusivamente un vino di prestigio, mentre il primo è in gran parte relegato tra i vini di pronta beva.

L’Amarone nasce nella Valpolicella, una zona territoriale che da Verona si estende verso le valli a nord. In questa zona si coltivava la vite e si vinificava vino già in epoca romana. Testimonianza di ciò ci è pervenuta da diverse fonti di autori latini, quali Columella e Plinio. Dai testi si apprende che il vino allora prodotto era un vino dolce, proprio come il Recioto della Valpolicella, che prima dell’Ottocento era conosciuto con il nome di Vin santo. Solo dall’Ottocento si diffonderà il nome di Recioto, che i produttori locali vogliono derivante dal termine dialettale “recie”, orecchie, riferito alle parti laterali del grappolo, ricche di zuccheri, che possono ricordare proprio delle orecchie. Sembrerebbe più corretta, però, l’ipotesi che il termine derivi dal latino “racemus” o“recis”.

Il Recioto, tuttavia, nell’Ottocento, non registrò grandi apprezzamenti fuori dagli ambienti veronesi, al punto da essere definito “un’aberrazione di una strana industria enologica”. Rimase, perciò, relegato al consumo locale. Il severo giudizio, a cui fu sottoposto questo vino, si può spiegare con il fatto che già nell’Ottocento il vino veniva consumato in maggioranza secco, o comunque con un residuo zuccherino minimo, a differenza dell’epoca romana,  anche perché i vini dolci erano in maggioranza prodotti da uve a bacca bianca e, inoltre, non era proprio comune imbattersi con un vino da bacca rossa sottoposto ad appassimento. Il Recioto, in effetti, viene prodotto da uve a bacca nera, vendemmiate mature e poste successivamente ad appassire in locali chiusi. In questo modo l’uva perde acqua, e quindi peso, e concentra gli zuccheri. Si vinifica e si blocca la fermentazione in modo da ottenere un vino dolce. A questo punto entra in scena una famiglia molto nota tra i produttori di vino della Valpolicella: i Bertani. A loro si deve la produzione di un Recioto in versione più secca, ma comunque con un notevole residuo zuccherino, che non permetteva di parlare di vino secco, a cui daranno il nome di Recioto Amarone. La strada era ormai solcata e tra non molto si sarebbe giunti al Recioto secco, che altro non è che l’Amarone.

Si vuole che l’Amarone sia nato per puro caso. In pratica alcune botti di Recioto sarebbero state dimenticate in cantina e il vino dolce in esso contenuto avrebbe completato il processo fermentativo, trasformando in alcol tutti gli zuccheri in esso contenuti. Il vino ottenuto era di grande struttura e di alta gradazione alcolica, decisamente diverso rispetto agli altri vini rossi secchi prodotti nel nord, primo fra tutti il Valpolicella Classico, un vino rosso secco prodotto dalle stesse uve del Recioto, ma vinificate subito dopo la vendemmia e quindi molto meno alcolico e corposo dell’Amarone.

La prima etichetta di Amarone è di un vino annata 1950 e viene presentato come un sottoprodotto del Recioto. Oggi l’Amarone è una DOCG separata, ma il suo legame con il Recioto è indiscutibile.

Oggi, come avvenne in passato per il Recioto, l’Amarone, oltre al successo, sta subendo non poche critiche, sia per il recente disciplinare DOCG, soprattutto per quanto riguarda le zone dove si può coltivare e le vigne, per produrre questo vino, non a torto considerate, anche da alcuni produttori storici, come eccessivamente allargate, sia perché ritenuto un vino sopravalutato, per il quale si stanno sacrificando le migliori vigne e i migliori grappoli, che altrimenti sarebbero destinati al Valpolicella Classico, considerato un vino molto più interessante dell’Amarone.

Effettivamente l’Amarone qualche forzatura nella sua lavorazione la presenta. È poco naturale il fatto che l’uva venga fatta appassire in locali chiusi e ventilati tramite sistemi elettronici, perché altrimenti vendemmiare tardivamente in quelle zone e fare così appassire i grappoli sulla pianta, significherebbe rischiare tanto tra pioggia, grandine e gelate. A questa si aggiunge un’altra critica, che ritiene che i vini rossi passiti abbiano degli evidenti limiti olfattivi e questo, infatti, spiega come mai i vini a vendemmia tardiva o passiti siano soprattutto vini bianchi. L’appassimento delle uve a bacca rossa implica un aumento deciso delle sensazioni di confettura e alcolicità a scapito dell’eleganza. Si contesta, per ultimo, il costo eccessivamente alto di questo prodotto, considerato non giustificato. Questo punto è poco contestabile. L’Amarone ha visto duplicare il proprio prezzo mano a mano che cresceva la sua popolarità, ma questo fattore non riguarda solo questo vino, bensì tutti i vini che acquisiscono un notevole successo commerciale, soprattutto grazie a politiche di marketing ben eseguite.

Nonostante tutte le critiche che stanno piovendo sull’Amarone, queste non sembrano intaccare minimamente il successo che sta vivendo questo vino, soprattutto all’estero, dove gode di grande attenzione.

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