ALMENO DATEGLI LA TESSERA!

L’evolversi degli eventi ci restituisce una figura diversa del dimissionario segretario del PD. Passato da unanime apprezzamento per il suo lavoro di ministro dell’economia alle critiche più feroci per cattiva gestione dell’ultima campagna elettorale, ha visto definitivamente cadere la sua stella con la mancata elezione alla Presidenza della Repubblica prima di Marini e poi di Prodi.

In effetti, dal giorno dopo le elezioni Bersani non ne ha azzeccata una. Ha cercato la sponda con Grillo, ha ricevuto pesci in faccia, ha tentato disperatamente un governo di minoranza, si è ostinato a non intavolare trattative per il Quirinale che non prevedessero concessioni, non ha voluto cedere, ostinatamente, alle pressioni, anche del Capo dello Stato, per un governo di larghe intese.

Ingenuo, poi, nel pensare che tutti avrebbero votato Marini, sprovveduto nel pensare che Prodi avrebbe raccolto i consensi necessari, enigmatico nel non voler chiarire il mancato appoggio a Rodotà, acclamato a gran voce dai militanti.

Da quello che ne è seguito, ne segue e ne seguirà, si comprende, però, che il problema non è Bersani, o, quantomeno non è la sola palla al piede del partito. Il problema sono gli iscritti e, come si vedrà, anche quelli che non sono iscritti.

Eravamo ormai abituati alle beghe interne del centro destra e, spiccatamente, del Partito delle Libertà, lotte intestine e contrapposizioni che avevano toccato il fondo in occasione della ventilata uscita di scena del Cavaliere. Da più parti si pensava, anche giustamente, che la politica in mano a quattro maneggioni e ad altrettanti arrampicatori politici, era arrivata al punto più basso della storia repubblicana.

Quello che si ha modo di osservare in questo momento, relega il comportamento degli uomini di Berlusconi e del centro destra a fenomeni da educandato.

Non si sa da dove cominciare per descrivere il caos che regna sovrano nel PD e lo smarrimento che assale anche i politici più navigati. Si va a vele spiegate verso una possibile scissione, con la sinistra del partito in fuga verso la nuova creatura politica di Vendola, si teme che le divisioni vengano fuori già nella fiducia al nuovo governo, che prima o poi, nonostante il PD, si dovrà pur fare.

Non sanno chi andrà alle consultazioni con il Capo dello Stato, tutti sono contro tutti, anche contro i compagni di corrente. La Bindi si è premurata di presentare le dimissioni per non essere coinvolta nei vortici di decisioni a cui non aveva peso parte, ma per cui aveva plaudito. Ma come Veltroni che, uscito dalla scena politica, doveva andare in Africa, così la Bindi si affretta a porre il veto su Letta premier, senza eccessive spiegazioni.

Marini, ancora dolorante per la trombatura, si scaglia contro Renzi, accusandolo di troppa ambizione, secondo lui difetto o qualità sconosciuta in politica. Renzi, alla prima occasione ufficiale da aspirante leader, toppa con il suo candidato preferito.

Tale Civati, giovane parlamentare, inveisce contro i traditori che saranno ministri del nuovo governo.

La paura di fare la fine del segretario assale i dinosauri del partito e allora ecco la strategia intelligente: Franceschini, Fioroni ed Epifani chiedono a Bersani di tornare sui suoi passi, ritirare le dimissioni e accompagnarli al congresso, per evitare che, come in una partita al flipper, di colpo venga a mancare la corrente elettrica.

Addirittura, nel corso della riunione con i gruppi parlamentari, quella in cui Bersani ha firmato la cambiale post datata delle dimissioni, è accaduto l’inenarrabile.

Un gruppetto di notabili del partito, nella disperazione, chiede al consigliere politico di Bersani, Miguel Gotor, di prendere lui le redini dell’assemblea. Lo storico, neo senatore, anima della campagna elettorale di Bersani, fustigatore, appena dopo i risultati elettorali, di quanti pensavano a qualsiasi pur minimo accordo con Berlusconi, dopo un primo plausibile momento di smarrimento, se ne esce fuori con la giustificazione che non è nemmeno iscritto al partito !?!

Da come sentenziava da Vespa, la sera dei risultati elettorali, si pensava fosse figlio di Togliatti, invece non aveva nemmeno la tessera del PD. Meraviglie dell’attuale politica. Lo stesso Gotor che veniva così additato, di  recente, dal giornalista Peppino Caldarola, ex parlamentare dei DS ed ex direttore dell’Unità: «Gotor e gli altri che circondano il segretario dovrebbero ispirarsi a letture più liberali se non vogliono far degenerare la vita interna del Pd e passare alla storia come il più ottuso gruppo dirigente che la sinistra abbia mai avuto».

Della serie, i panni sporchi si dovrebbero lavare in famiglia.

Oppure si scopre che, nel corso delle votazioni per eleggere Marini, gli ex DC vengono identificati come MpM, malmostosi per Marini, rispolverando un vecchio termine lombardo, di cosa che fa poco sugo, qui riferito a persona, musona, scontrosa, intrattabile, sgarbata, scorbutica. Gentilezze fra compagni di banco.

Non mancano le rimostranze di Rodotà per la mancata elezione e le sue scaramucce verbali con Scalfari, il padre del quotidiano La Repubblica, che apertamente si compiace per la rielezione di Napolitano, come fa scalpore la dichiarazione del giudice, ex pm di Milano, Gherardo Colombo che dice: “Prendo la tessera del Pd solo per stracciarla”.

Si potrebbe continuare a lungo, ma basta il titolo di queste ore dell’huffingtonpost.it per dare una fotografia della situazione: PD, VOLANO PIETRE.

Ma la situazione è drammatica anche per i numerosi incidenti, fino a questo momento solo verbali, in cui sono stati coinvolti elementi come Fassina o Franceschini, contestati duramente in pubblico, l’uno all’uscita da Montecitorio, l’altro al ristorante, da una canea di giovani urlanti che rinfacciavano il mancato consenso a Rodotà. Ma in questo caso, come appunto si leggeva oggi su ilgiornale.it, si potrebbe dire “Chi semina vento raccoglie tempesta. Franceschini e la scemenza ideologica della sinistra, oggi raccolgono bufera”.

Franceschini è quello che invitava alla “vigilanza democratica” contro un presidente del Consiglio eletto da milioni di italiani, è il Franceschini che affermava che con Berlusconi eravamo arrivati al “livello massimo di emergenza democratica”.

Per anni la sinistra democratica ha alimentato odio e disprezzo per l’avversario ritenuto per definizione “impresentabile”, provocando, per lungo tempo, quella parte di opinione pubblica che poco ha a che far con la cultura politica

Intanto 250 giovani della base del PD di Torino si autoconvocano per discutere su tre punti fondamentali: no al governissimo con Berlusconi, reset di tutta la dirigenza e subito i congressi “aperti” a tutti i livelli. Speriamo, almeno, che abbiano la tessera del partito.

Per noi, poveri cittadini elettori di provincia, non resta che attendere gli sviluppi della situazione per vedere come si posizioneranno i democratici locali, quanti andranno a sinistra, quanti si arroccheranno a difesa del fortino, quanti potrebbero veleggiare verso territori più produttivi e forieri di legittimi riconoscimenti, quanti, approfittando della situazione di confusione, cercheranno di aggiungerne altra con la formazione di nuove correnti e formazioni.

 

Principe di Chitinnon

 

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