La tragica fine dei Carabinieri Reali di Passo di Piazza. Morto il carabiniere-testimone Antonio Cianci

di Emanuele Ferrera – Nessuno potrà più raccontare la tragica fine dei Carabinieri Reali di Passo di Piazza, avvenuta il 10 luglio 1943 per mano dei soldati americani sbarcati poco prima nel tratto di mare tra Gela e Licata. Il Covid- 19 si è portato via a Leinì, provincia di Torino, dove era residente, all’età di 97 anni, Antonio Cianci. Furono i paracadutisti della 82ª divisione aviotrasportata Airborne a passare per le armi i militari della casermetta. A presidiare quel posto fisso c’erano 15 carabinieri. I morti accertati sul posto furono 3 (gettati nudi in un pozzo), cui si dovrebbe aggiungere un numero imprecisabile tra i feriti.

Cianci, originario di Stornara, in provincia di Foggia, si salvò perché gli americani, dopo essersi accorti dell’enormità di ciò che avevano fatto, non dettero il colpo di grazia a chi era rimasto vivo dopo la prima scarica. I fanti a stelle e  strisce appena sbarcati avevano sposato la teoria del generale Patton, il quale non voleva si facessero prigionieri.

A far luce su una delle stragi dimenticate compiute dagli Alleati 78 anni fa in Sicilia era stato lo storico e giornalista Fabrizio Carloni, che ha ricostruito definitivamente la vicenda nel suo saggio Gela 1943 – Le verità nascoste dello sbarco americano in Sicilia, pubblicato da Mursia nel 2011. I carabinieri, appartenenti alla Tenenza di Gela e sotto il comando del vice brigadiere Carmelo Pancucci, sulla Statale 115, avevano il compito di proteggere e vigilare la linea ferroviaria.

Per tutta la notte il carabiniere ausiliario Antonio Cianci, appostato sul tetto del caposaldo era rimasto stordito dalle cannonate sulla costa delle navi americane e aveva notato gruppi di probabili nemici, 6 o 7. Nel dubbio sparò e mirò a uno del gruppo e lo uccise. Gli americani risposero con i mitra e i carabinieri con il moschetto.

Il vicebrigadiere Carmelo Pancucci, originario Agrigento, dopo una coraggiosa resistenza, ordinò di stendere delle tovaglie bianche. Cianci e i commilitoni, disarmati, uscirono verso il cortile, ma i paracadutisti, avendo sentito ancora dei rumori da un locale attiguo alla caserma, dove vivevano dei contadini, e ritenendo che ci fossero altri italiani, ricominciarono a sparare.

Cianci fingendo di essere colpito si gettò terra. Trascorsa nemmeno un’ora, tutti i feriti furono trasportati e curati in un luogo di campagna non lontano. Restarono lì per tre giorni al freddo e poi furono imbarcati per l’Algeria.

Cianci, che apparteneva a una famiglia di contadini, era il secondo di sei figli. Chiamato alle armi nel 1941, Aveva scelto di fare il carabiniere, come un fratello, ed era stato selezionato e avviato alla scuola di Bari. Trascorso l’addestramento, era stato destinato alla Legione di Palermo, che lo assegnò con tanti giovani arruolati alla Tenenza di Gela. Nella caserma di piazza Roma era rimasto una settimana, per poi raggiungere il posto fisso di Passo di Piazza.

Di quel presidio non si trovano documenti di archivio. Lo storico Fabrizio Carloni si è avvalso soprattutto della testimonianza di Cianci. L’edificio, ritrovato con non poche difficoltà dall’autore del libro, è rimasto come fu lasciato dal sopravvissuto. Solo le porte, allora di legno, sono state sostituite con infissi di ferro.

Antonio Cianci, ferito a una gamba, non aveva mai parlato a nessuno della vicenda. Lascerà la Benemerita a guerra conclusa, ricevendo solo una Croce di Ferro e dedicandosi al suo piccolo podere. Ricorda il figlio Cesare: “Per oltre mezzo secolo non ha parlato di quei fatti, ma si rammaricava con noi familiari di non avere potuto fare di più contro la potenza di fuoco degli americani”.

A tutt'oggi, l'eccidio di Gela è rimasto impunito, né risulta che l'esercito degli Stati Uniti abbia mai aperto un'inchiesta per trovare i responsabili. Nei giorni successivi al 10 luglio  gli americani saranno responsabili di altri due stragi: una a Piano Stella, al confine tra le province di Ragusa e Catania; un’altra all’aeroporto di Biscari-Santo Pietro. Morirono 12 civili italiani, tra di cui alcuni pacifici coloni, e 76 militari italiani e tedeschi, che si erano arresi.
Emanuele Ferrera


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