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“VUOTI D’ARIA”
05 Mar 2014 08:28
In “Vuoti d’aria”, nuova opera di Michele Giardina, si ritrovano e si riconoscono tutti i temi e le atmosfere dei suoi lavori precedenti. Anche in questo caso si tratta di un’opera letteraria e storica, di un documento di costume che parte in sordina senza grandi pretese, semplicemente raccogliendo storie di vita, la sua e quella di amici e conoscenti, personaggi che hanno incrociato la sua strada, che hanno respirato l’aria della sua terra natale; ma senza che l’autore lo abbia deciso e voluto si va disegnando pian piano, fra le dita del lettore che sfoglia le pagine, un testo letterario nel vero senso della parola.
I vuoti d’aria non sono la fine del mondo, ma un disturbo col quale Giardina si confronta riuscendo a superarlo. Ci ha lavorato molto durante l’arco della sua vita: ha attraversato il dolore, ha accettato la propria fragilità e finalmente è diventato capace di sintonizzarsi con la voce della natura, di subire il fascino dell’Infinito.
Dal mare elemento che caratterizza tutta la produzione letteraria di Giardina, collante di idee e pensieri, creatore di storie e racconti, descritto ora come lento movimento ricorsivo nella “Risacca”, sconvolto e agitato come in “Mare forza 7” e ancora, un mare che unisce e che divide scenografia della storia raccontata in “Un uomo di borgata”. Dal mare quindi che è acqua e movimento, all’aria che è invece respiro, che è anima, si snoda una evoluzione della riflessione dell’autore, una trasformazione del suo sentire, il disvelamento di una spiritualità che coinvolge e commuove.
“Vuoti d’aria” è un lavoro autobiografico nel quale il giornalista pozzallese racconta episodi della propria vita già in buona parte attraversata, sotto il nome di Tony Speranza e se ci chiediamo perché, fra tanti cognomi possibili, abbia scelto proprio questo, la risposta possiamo trovarla nella stessa scrittura di Giardina dove la non accettazione dell’ingiustizia e della violenza, la fiducia, il desiderio che le cose possano cambiare, si coniuga con un fine morale, con l’impegno civile attraverso il suo quarantennale lavoro di cronista, quasi un supporto pedagogico che ci aiuta a credere in un’altra realtà possibile, diversa da quella rozza e senza cuore nella quale i media e la cronaca ci dicono che abitiamo.
La speranza è la fiaccola che l’autore si porta dietro nel difficile viaggio della vita; ma mentre nei primi romanzi l’anima prevalente era quella del racconto per contrastare l’oblio che tutto cancella, era conservare i ricordi dall’usura del tempo e passarli, come testimone, alle giovani generazioni perché i racconti possano essere mattoni per la costruzione di un mondo migliore , in “Vuoti d’aria” troviamo accanto alla prima un’altra anima che è quella più esplicita del rapporto, dell’incontro con la morte, unica certezza della nostra esistenza che tanti quesiti, tanti dubbi pone all’uomo che ha navigato le acque della giovinezza perigliose e attraenti e che adesso, nell’ultimo tratto del suo viaggio, si interroga per dare senso al più grande dolore della vita che è appunto la morte.
Si racconta, si confessa, fa bilanci, l’autore ha già scritto il proprio epitaffio che non è cupo o bagnato di tristezza, ma leggero e fiducioso come chi sembra aver già raggiunto la serenità dell’accettazione.
Come un prestigiatore di altri tempi, un mago col cilindro e il tight, Giardina tira fuori dal suo cappello racconti, volti, personaggi che risuonano dentro di noi perché ne abbiamo conosciuti di simili, personaggi che sono rimasti impigliati tra le pieghe della nostra memoria, costruisce un teatro di varia umanità che non è solo la voce di un angolo della Sicilia, ma l’essenza dell’universale umano, dei potenti e degli umili, dei furbi, dei malvagi, delle sofferenze e delle gioie, delle ansie e delle speranze.
C’è la vita di Tony, c’è Memo Nocera dal fisico atletico, ex calciatore e tombeur de femme, con una taumaturgica spada, noto per la sua fama di uccello libero, leggenda dell’uomo sicuro di sé, della propria virilità, che nel profondo fa vibrare un certo immaginario che appartiene a tutta la generazione dell’autore.
Ci sono i matrimoni portati, celebrati in barba agli oceani che separano i continenti, c’è il mito familiare, la memoria della stirpe, il dolore, la malattia. Ci sono incontri col passato con quei morti che, nel bene o nel male, sono stati significativi, persone con le quali nella vita non è stato possibile parlare pienamente ed ecco il dialogo con il padre, col chirurgo, che ha commesso un gravissimo errore, per liberare antiche esperienze dolorose, con Sal Giunta pozzallese che ha combattuto nel Vietnam, con Luca che se ne è andato per overdose, con Andrea e Consuelo, spariti in un pauroso incidente d’auto. C’è Pozzallo che attraverso i suoi cittadini sparsi in tutti i continenti, vive e partecipa alle tragedie del mondo intero, quasi una Spoon river, un parco della Rimembranza. Ci sono sparse nel testo riflessioni morali, i problemi di una informazione che non è libera e tante notizie persino cosa mangia Babbo Natale.
Poi una quantità di dati, di numeri perché l’autore non dimentica mai il suo primo amore di cronista, le abitudini del paese come era un tempo, le tradizioni, le forme, le ricette di cucina, il ricordo di tanti concittadini per bene, eroi non riconosciuti perché solo pochi, dice Giardina, riescono ad entrare nella lista della storia, ma tanti, troppi sono quelli che hanno camminato accanto a noi e ne sono rimasti fuori e forse la scrittura è il mezzo che serve a fare un po’ di giustizia, a ridare vita a gesti e azioni di persone che molto si sono spese nella loro vita e che poi però sono cadute nell’oblio. Sente quasi il peso di un compito, di una missione, quella di accendere le luci sulla storia dei non eroi, della gente comune che non ha palcoscenico, che non ha visibilità.
E ancora tante storie di emigranti, avventurosa, fantastica e straordinaria quella di Giovanni Carandola, non solo di quelli che partono dalla Sicilia, i compaesani, verso le Americhe in cerca di lavoro, di fortuna, di un altro futuro, ma anche di quelli che sulle coste siciliane approdano, che lasciano i loro paesi, varcano il mare per sfuggire alla guerra e alla violenza, e l’argomento che ha molto coinvolto il Giardina giornalista, commuove e trascina mettendo in evidenza l’empatia che i Latini chiamerebbero pietas con la quale l’autore avvolge i suoi personaggi, uomini donne e bambini che ha personalmente conosciuto, che ha incontrato, che ha assimilato, che sono diventati la sua carne e il suo sangue, l’hanno emozionato, hanno segnato il suo carattere, perché ognuno di noi è quello che ha vissuto, i sentieri che ha calpestato, le cose che ha visto e amato o criticato ed è questo il passaggio, a mio avviso, che trasforma la cronaca dei fatti in racconto.
*Già docente universitaria, pedagogista e psicologa, direttore operativo della Unità Complessa dell’Asp 3 di Catania
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