Un siciliano tra i detenuti di “Alligator Alcatraz”: la prigione-pollaio della vergogna dove finiscono anche gli italiani. “E’ un incubo”. VIDEO

«Siamo in 102, chiusi come polli in una gabbia. I bagni sono aperti, nessuna privacy. Non ho potuto vedere né un giudice né un avvocato». È il grido disperato di Gaetano Mirabella Costa, siciliano di 42 anni originario di Fiumefreddo, da settimane rinchiuso nel carcere americano noto come “Alligator Alcatraz”.

Una prigione tanto nuova quanto già famigerata, costruita nel cuore delle paludi e destinata – almeno nelle intenzioni – a “contenere” i migranti irregolari in attesa di espulsione. Ma che di fatto, come denunciato da più osservatori e media internazionali, si è già trasformata in un simbolo di disumanità, degrado e violazione dei diritti.

Il caso

Gaetano Mirabella Costa vive negli Stati Uniti da oltre dieci anni. È stato arrestato in Florida per un’aggressione e per possesso di sostanze stupefacenti. Dopo la condanna a sei mesi, avrebbe dovuto essere espulso e rimpatriato in Italia. Ma il 9 luglio, anziché tornare a casa, è stato trasferito nel carcere “Alligator Alcatraz” dopo che l’avvocato dello Stato si è opposto.

La madre, in lacrime ai microfoni della giornalista Rai Roberta Marilli, ha raccontato che il figlio è stato portato via con le catene ai piedi e alle mani, «come un cane». Una scena che, nel 2025, risulta difficile da accettare in un paese che si proclama culla della democrazia.

Insieme a lui, un altro italiano: Fernando Eduardo Artese, italo-argentino, bloccato mentre cercava di lasciare il Paese in camper con la famiglia. Su di lui pendeva un vecchio mandato per guida senza patente.

Entrambi oggi si trovano nella prigione più dura d’America, progettata durante l’amministrazione Trump e finita nel mirino delle organizzazioni per i diritti umani. Una struttura isolata, immersa nelle Everglades, dove i detenuti dormono ammassati, i servizi igienici sono a vista e l’accesso a un legale è quasi impossibile.

L’intervento delle autorità italiane

La Farnesina ha confermato il caso e fatto sapere che l’Ambasciata italiana a Washington e il Consolato Generale a Miami stanno seguendo la vicenda «con la massima attenzione». Sono in corso contatti costanti con i familiari e con le autorità ICE (Immigration and Customs Enforcement) per ottenere chiarimenti e accelerare il rientro in Italia dei due connazionali.

Ma intanto il tempo passa, e le condizioni restano drammatiche.

Mirabella Costa, che ha già scontato la sua condanna, chiede aiuto all’Italia: «Fatemi uscire da questo incubo. Non ho ucciso nessuno. Voglio solo tornare a casa».

Una prigione tra gli alligatori

Alligator Alcatraz è un centro detentivo costruito in tempi record in un’area paludosa della Florida. Le strutture sono realizzate con tendoni, recinzioni metalliche e servizi igienici portatili. L’ambiente è già stato colpito da allagamenti, come è accaduto durante la visita del presidente, quando una semplice pioggia ha allagato alcune aree interne. Secondo le autorità, la prigione può resistere a venti fino a 180 km/h e sarebbe pronto un piano di evacuazione in caso di uragano, anche se i dettagli non sono stati resi noti.

Ma il vero problema è strutturale: la zona è soggetta a forti tempeste, umidità estrema e caldo insopportabile. Tutto questo rende la prigione invivibile, soprattutto per chi è detenuto per reati minori o, in molti casi, senza aver commesso alcun reato.

Secondo i dati del Deportation Data Project, circa la metà delle oltre 56mila persone attualmente detenute nei centri dell’agenzia ICE non ha precedenti penali. Ma la pressione politica – che impone obiettivi come 3.000 arresti al giorno e un milione l’anno – ha fatto aumentare a dismisura gli arresti indiscriminati.

Durante una visita ufficiale al centro, Trump ha dichiarato: “Qui finiranno i migranti più pericolosi del mondo”. Ma i numeri raccontano un’altra storia: a essere rinchiusi sono soprattutto padri e madri di famiglia, lavoratori regolari, e persone che – come Mirabella Costa – avrebbero già dovuto essere rimpatriate. Nel frattempo, il grido d’aiuto dei due italiani – e di centinaia di altri migranti – rimane intrappolato nel fango e nel silenzio di Alligator Alcatraz.

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