UN PAESE DALLE MILLE RISORSE

Domenica 2 giugno, a pagina 21 del Corriere della Sera appariva una notizia a dir poco sconcertante: “Moglie di un dissidente espulsa in Kazakistan”. “Lì rischia la tortura”.

Nei confronti della donna, Alma Shalabayeva, cui è stato contestato il reato di possesso di un passaporto contraffatto, il prefetto ha emesso un decreto di espulsione. “Tutto bene, dunque? – commenta il giornalista – Sì, se non fosse per il fatto che la donna è la moglie di un dissidente del Kazakistan”. Come dire che l’eccezionale efficienza della nostra polizia era, in realtà, determinata da una collaborazione di fondo fra autorità italiane e gli interessi economici dell’Eni in Kazakhstan. Il tutto, immancabilmente condito con la salsa di un intrigo politico internazionale ordito dal – perennemente descritto da una certa stampa, a tinte fosche – presidente del Kazakhstan, nei confronti di un cittadino kazako “dissidente” ed esule all’estero. “Un’espulsione a tempi record nelle mani di un regime dittatoriale, noto nel mondo per la disinvolta noncuranza con cui tratta i diritti umani”[1], come commenta il sito online di una testata giornalistica.

Ora, prescindendo dal fatto che Nursultan Nazarbayev, alle elezioni presidenziali del 4 dicembre 2005, conseguì una vittoria dalle dimensioni quasi plebiscitarie (91,15%). Replicata sei anni dopo, il 3 aprile 2011, allorché in seguito al rifiuto della proposta, avanzata al parlamento di Astana, di indire un referendum per estendere i termini del suo mandato presidenziale sino al 2020, Nazarbayev rigettò l’offerta di una “Presidenza a vita” preferendo la scelta – definita dallo stesso Nazarbayev: “una storica lezione di democrazia” – di sottomettersi al giudizio del corpo elettorale un mese più tardi.

Nursultan Nazarbayev è un Presidente che, peraltro, ha saputo traghettare il Kazakhstan, facendolo crescere socialmente, economicamente e diplomaticamente, rendendolo il Paese più stabile, prospero e democratico dell’intera Asia Centrale. Senza che questo gli impedisse di mantenere buoni rapporti con Washington e Pechino da un lato, ma anche con l’Unione europea e il partner moscovita dall’altro. Un raro fulcro di stabilità ed equilibrio in una regione martoriata da conflitti di ogni tipo ed in continua metamorfosi. Un fulgido modello di sintesi fra tecnologia occidentale e cultura orientale, un Paese maturo per muovere il passo dal paradigma della competizione globale al paradigma della responsabilità globale. Tant’è che dopo aver contribuito al rafforzamento della pace e della sicurezza globale, dimissionando il sito adibito ai test nucleari di Semipalatinsk, rinunciando così al quarto maggiore arsenale nucleare e missilistico esistente al mondo, nel 2010 ha altresì assunto la Presidenza dell’OSCE. Prima volta in assoluto per una repubblica ex-sovietica e per un Paese di fede islamica.

Modello di tolleranza e coesistenza fra i diversi gruppi etnici e religiosi, il Kazakhstan è un mosaico composto da più di 140 etnie che professano circa trenta diverse fedi religiose.

Un regime dittatoriale dunque? Un regime che calpesta i diritti umani e simultaneamente assume la Presidenza di un’Organizzazione Internazionale prestigiosa come l’OSCE? Un regime che ha fatto del dialogo interetnico ed interreligioso il suo fiore all’occhiello, organizzando sistematicamente, a partire dal 2003, Forum dei leader delle religioni tradizionali? Giunti oggi alla loro quarta edizione, cui l’anno scorso è stato assegnato il titolo: “La pace e la concordia come scelta dell’umanità”, al quale hanno partecipato più di 70 delegazioni provenienti da 45 diversi Paesi?

L’iniziativa kazaka è, peraltro, stata supportata dalle Nazioni Unite e, negli ultimi anni, ha ottenuto il riconoscimento degli altri maggiori Forum, come l’Alliance of Civilisations, la Comunità di Sant’Egidio e l’Asia House, oltre alla Tony Blair Foundation e molte altre.

Già Papa Giovanni Paolo II, durante la sua visita pastorale ad Astana, nel 2001, rilasciò la seguente dichiarazione:

 

“Dal Kazakhstan, una nazione che è un esempio di armonia tra uomini e donne di origine e credo differenti, desidero lanciare un fervido appello a tutti, cristiani e seguaci di altre religioni, affinché lavorino assieme per costruire un mondo senza violenza, un mondo che ami la vita e cresca in giustizia e solidarietà”.

 

Puntualizzando l’importanza dell’iniziativa, l’ex Segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, annotò che “Le persone credenti in una fede hanno un’opportunità di influenzare individui e gruppi di persone, potendo “ispirarli” a servire la società”.

Kochiro Matsuura, Direttore generale dell’UNESCO descrisse l’iniziativa del Presidente del Kazakhstan: “Un passo significativo verso un nuovo mondo dove persone di differenti religioni possono vivere assieme in armonia”.

A fronte di tante attestazioni di sincera quanto disinteressata ammirazione per tutte queste attività fortemente volute dal Presidente Nazarbayev c’è ancora chi lo denigra e lo taccia come dittatore solo perché rappresentante di un presidenzialismo non interamente conforme a certi parametri.

Tornando al caso della moglie dell’oligarca fuggiasco, peccato che al di là dell’assoluta regolarità del procedimento d’espulsione attuato nei confronti di Alma Shalabayeva, rea di possedere un passaporto della Repubblica Centrafricana falso – come scrive il quotidiano milanese – , in un Paese in cui il rischio di tortura o sevizie paventato dal giornale in questione è francamente ridicolo, il marito e sedicente-dissidente Mukhtar Ablyazov, non sia l’integerrimo perseguitato e rifugiato politico che si vorrebbe far credere.

Del resto se la signora è stata trovata in possesso di un Passaporto Diplomatico alterato e contraffatto – fatto che in Italia costituisce un reato penale deve necessariamente essere entrata nel territorio dello stato sottraendosi ai controlli di frontiera. Di conseguenza non sussistendo presumibilmente le condizioni affinché alla stessa potesse essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi umanitari o ad altro titolo ne è stato evidentemente decretato l’allontanamento dal Territorio Nazionale.

E questo è uno dei punti essenziali giacché il marito, Mukhtar Ablyazov, prima di essere “dissidente” è uomo d’affari, ex dirigente della BTA la Banca TuranAlem, che, nel 2009, dichiarò un clamoroso fallimento, travolgendo, o rischiando di travolgere aziende e risparmiatori non solo kazaki, ma altresì europei ed asiatici. Ablyazov – legato da una serie di vincoli alla grande finanza internazionale – è stato accusato di bancarotta fraudolenta e di appropriazione indebita di una cifra fra i 4 e gli 8 miliardi di dollari. Arrestato, è però riuscito a riparare successivamente in Gran Bretagna, dove per altro è stato sottoposto a processo da una corte britannica, che, recentemente, lo ha condannato a 22 mesi di carcere, riconoscendolo colpevole di tutte le accuse mossegli dal governo kazako. Condanna, per ora, elusa dal finanziere con l’ennesima fuga.

Secondo il giornale inglese MailOnline, il giudice Teare, affermò che Ablyazov era stato accusato di “frode su scala epica” avendo commesso oltraggi “deliberati e sostanziali” nei confronti della Corte, violando un ordine di congelamento dei beni imposto al fine di bloccare la sparizione di denaro entro la fine del contenzioso.

Ablyazov non si presentò all’udienza presso l’Alta Corte.

Il giudice Teare emise un mandato di cattura, senza tuttavia conoscere la dimora dell’ex banchiere, che rimane sconosciuta.

Ablyazov, a tutt’oggi, non è riuscito a modificare le sentenze emesse dal giudice Teare in Corte d’Appello[2].

Il Procuratore Generale, Nurdaulet Suindykov, riguardo alla vicenda ha dichiarato che: “In precedenza le forze dell’ordine del Kazakhstan avevano trovato le prove della falsificazione e dell’emissione di passaporti nazionali in cambio di tangenti a favore dei parenti stretti di Ablyazov. Fra questi i passaporti della sig.ra Shalabayeva e di sua figlia durante la loro assenza dalla Repubblica del Kazakhstan. Il Processo penale su questo fatto, da parte della Polizia dell’immigrazione di Atyrau, è in tribunale. Sono in corso dei controlli sul coinvolgimento della sig.ra Shalabayeva in questo crimine, la quale ha l’obbligo della dimora. La sig.ra Shalabayeva ha richiesto come domicilio la citta di Almaty che non ha diritto di lasciare senza il permesso del Giudice. L’organo d’investigazione provvederà ad osservare i diritti e le libertà garantite dalla Costituzione e dalle Leggi del Nostro Paese”.

Concludendo, a quanto pare, se esiste un intrigo internazionale non è quello è quello delle rappresaglie di un regime dittatoriale nei confronti dei propri dissidenti, bensì quello una certa stampa allineata a poteri forti che, evidentemente, possiede un interesse concreto a destabilizzare il Kazakhstan attraverso campagne di denigrazione sistematiche e trasversali.

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