UN MIRAGGIO PER I PIU’ …L’ELDORADO PER ALCUNI

Durante l’estate l’argomento pensioni è entrato più volte nella cronaca: dapprima, a giugno, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il “prelievo aggiuntivo” sulle cosiddette “pensioni d’oro” (quelle che superano i 90mila euro l’anno) voluto da Tremonti perché gravando solo su un tipo di reddito (le pensioni) viola il principio di uguaglianza dei cittadini; poi, ai primi di agosto, ecco pubblicato l’elenco delle pensioni più alte pagate in Italia (la più alta supera i 90mila euro al mese!).

Il dibattito si è acceso e spesso con toni veementi, senza però, a mio modesto avviso, affrontare il cuore del problema: Cos’è l’assegno pensionistico?

E’ un assegno sociale che garantisce una vecchiaia dignitosa quando non si è più “produttivi” (assegno sociale) oppure è il frutto di un risparmio accantonato durante tutta la vita lavorativa (diritto di controprestazione)?

Anche se è ovvio che tutti e due gli elementi coesistono nel concetto di pensione, la domanda non sembri scontata, in Italia, dove prevale di gran lunga la seconda opzione il calcolo della pensione è il medesimo sia per i lavoratori con redditi minimi, sia per i lavoratori con redditi molto elevati.

Questo si badi bene anche quando il sistema non era “ contributivo” come adesso e che legittima quindi una rivendicazione alla controprestazione di contributi “effettivamente versati”, ma anche quando vigeva il “metodo retributivo” che come vedremo aveva dei gravi effetti distorsivi in termini di controprestazione.

E’ bene sapere che non in tutti i Paesi è così, in altri sistemi, in cui si da più rilevanza al concetto di “assegno sociale” sui redditi bassi il calcolo della pensione è più “generoso”, sui redditi alti invece è più penalizzante … Paese che vai …

Adesso, premesso che a mio modesto avviso i sistemi più perequativi nel calcolo della pensione sono da preferire al nostro, il problema ora è quello di capire se sia possibile operare forme di “correzione” di queste clamorose “disparità” (un pensionato che percepisce ogni mese la pensione equivalente a quella di 200 pensionati al minimo!), senza con questo violare comunque principi di giustizia o “diritti acquisiti” degni di tutela.

Per sviluppare il ragionamento è bene ribadire che, mentre con il sistema “contributivo” introdotto dalla riforma Dini ciascuno di noi avrà la pensione commisurata ai contributi versati durante la vita lavorativa e in funzione dell’aspettativa di vita (quindi di fatto il pensionato riceverà “realmente” la controprestazione di ciò che ha accantonato), il vecchio metodo retributivo oltre ad essere “generoso” riguardo all’età di pensionamento (si poteva andare in pensione in alcuni settori da quarantenni), calcolava la pensione sulla retribuzione degli ultimi anni di attività, in pratica era concepita per garantire il tenore di vita acquisito negli ultimi anni a prescindere da quanto versato durante tutta la vita lavorativa, in pratica con 40 anni di contribuzione si fruiva sostanzialmente dello stesso reddito degli ultimi anni anche se per tutto il resto della vita lavorativa si era versata una contribuzione parametrata su un reddito di gran lunga inferiore.

Questo meccanismo di fatto, in modo assolutamente lecito, elargiva pensioni in alcuni casi di gran lunga sproporzionate rispetto ai contributi versati!

Tito Boeri, economista e fondatore del sito lavoce.info  pone riferendosi a questo meccanismo il dubbio se si debba parlare in questi casi di “diritto acquisito” o di “regalia acquisita” e il quesito non è per niente peregrino. Perché se ha un senso “garantire” un tenore di vita dignitoso per redditi bassi o medi, diviene difficile accettare di dover “garantire” redditi elevati non giustificati da versamenti contributivi adeguati.

Considerato poi che in Italia oltre 500.000 persone fruiscono di un assegno mensile superiore a 3.000 euro, avrebbe un senso (visto che così sarà per tutti i nostri giovani) procedere al ricalcolo di queste pensioni con il metodo “contributivo” e anche distinguendo per fasce di reddito procedere a un riallineamento, anche non completo, ma almeno in proporzione alla contribuzione effettivamente versata.

Questo non violerebbe “diritti” acquisiti perché credo che non possa reclamarsi come “diritto” che lo stato garantisca oltre una certa soglia (!) un reddito vitalizio elevato solo perché negli ultimi anni di vita lavorativa la retribuzione era particolarmente elevata, e non violerebbe il principio di uguaglianza perché riguarderebbe la modalità di calcolo dell’assegno pensionistico e non sarebbe un prelievo fiscale “aggiuntivo” a carico dei “soli” pensionati come ha giustamente rilevato la Corte Costituzionale.

Sarebbe poi opportuno operare ovviamente dei correttivi; penso a coloro che hanno problemi di disabilità grave in famiglia o altre problematiche socialmente rilevanti, ma comunque, fatto salvo il principio di garantire una controprestazione adegata ai contributi effettivamente versati, si potrebbe in questo modo “ammorbidire” delle disparità inaccettabili e trovare risorse da destinare sempre nell’ambito previdenziale ai nostri giovani che sono chiamati a enormi sacrifici per compensare le “generosità” di cui hanno “impropriamente” fruito le generazioni precedenti.

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