Un libro per ricordare Ninto e le sue ricerche geniali. Commoventi i messaggi degli amici. Ecco il testo

 

Un libro per ricordare Giovanni “Ninto” Occhipinti. Sarà presto dato alle stampe con materiale raccolto dagli amici più cari al 45enne ragusano, docente alla Sorbona, scomparso a seguito di un incidente stradale sulla Ragusa – Catania. Gli amici hanno raccolto foto, articoli, ricerche scientifiche di cui è stato autore, ma anche testimonianze, per realizzare un libro che ricordi quello che, un po’ da tutti, era considerato un genio. Commoventi alcuni ricordi e testimonianze che vi proponiamo integralmente, come quella di Francesca Giglio, che è intervenuta al termine della cerimonia dei funerali, ricordando Giovannino, compagno di giochi da bambini. 

 

 

“Ciao Ninto, il nostro e’ stato da sempre un rapporto di complicita’ e di tante risate, bastava uno sguardo per capirci. Restavamo vicini con un abbraccio e riuscivamo a farlo anche da lontano in questi anni dove tu sei stato fuori ed hai costruito il tuo mondo a misura della tua fantasia e della tua unica genialita’. Quando tornavi da me era sempre una gioia. Quante volte mi dicevi giglio non cambiare mai, vivi, viaggia, scopri, non ti fermare perche’ la vita deve essere divorata, esplorata. Quando ho avuto il primo figlio, mi hai guardata con le lacrime agli occhi, hai avuto paura di avere perso la tua amica, quella che ti ha sempre teso la mano nelle tue scelte folli, ma anche quella che ti rimproverava per quelle scelte, perche’ avevo paura che ti saresti fatto male.  Mi preoccupavo per te perche’ tu eri, sei e resterai per sempre il mio Ninto, quel Ninto, che da bambina urlavo a squarciagola quando dal balcone di casa ti chiamavo perche’ avevo voglia di giocare con te. Ninto ho ancora voglia di giocare con te. 

 

Ti prego dammi quell’equazione magico-matematica, quella che collega la nostra vita con la tua, quella che attraverso quel raggio verde ci terra’ connessi per sempre. Oggi voglio guardare il mondo con i tuoi occhi e ti giuro che mi appare piu’ bello. Grazie per tutto quello che sei stato, per i tuoi sguardi, per i tuoi sorrisi, per gli inviti in orari improbabili, per quella foto appesa nella tua stanza dove io, ancora una volta , sono seduta accanto a te, grazie per la Cocim, per il covo, per le impennate con la tua vespa, per tutte le volte che mi hai coperta con Gianni e Rosalba per quel viaggio in Sardegna, per quella mano sulla mia mano, per quei fiori. Ciao Ninto, grazie. Adesso non ridere ti prego, sono sempre io quella che ti chiamava a squarciagola dal balcone e la stessa  che si addormentava insieme a te, con la ninna nanna di Maria. Ti prometto che in ogni tramonto ed ogni alba cerchero’  te, e che ogni cin di calice di cristallo sara’ a te dedicato. Giuro saro’ sempe io”.

 

E un altro amico, Giuseppe Minaldi, si è detto smarrito per questa scomparsa. “Siamo stati abituati ad aspettarci di tutto da te ma con questo hai certamente superato te stesso! Caro Uolter amico mio, sono passati quasi 12 giorni da quando non sei più qui e tutti noi ancora non possiamo credere che tu te ne sia andato, sappiamo come sono andati i fatti, abbiamo pianto, ci siamo disperati, ci siamo stretti alla tua famiglia …ma ancora non possiamo credere che tu sia morto; ci siamo riuniti con gli amici di Parigi, abbiamo brindato alla tua partenza, abbiamo guardato le stelle cercando di scorgerti lassù da qualche parte… ma è inutile.. non ci si crede!… persino ieri pomeriggio quando sono andato a parlare con il parroco insieme a Paolo e Simona e discusso su come sarebbe andata questa cerimonia, quando sono uscito dalla sacrestia mi sono detto.. non è possibile, non è di Uolter che stiamo parlando.

 

La prima volta che ti ho incontrato era il 2010 indossavi un orrendo cappellino giallo  con su il nome di una qualche ferramenta di Ragusa, sandali da mare in plastica trasparenti  roba che non vedevo più da vent’anni, pantaloncino da tennis fila azzurro e camicia a scacchi tipo fantasia scozzese… dissi boh!  Ma chi è questo qui?.. da allora non ci siamo più separati. Quello che avevi dentro era un vero e proprio prodigio divino qualcosa di inspiegabile.

Forse durante tutti questi anni siamo stati talmente tanto presi a parlare di possibilità altre per un mondo migliore, che mi sono dimenticato di chiederti le cose più semplici.

 

In verità, credo cha la tua vivacità intellettuale, la tua irrequietezza, il tuo stato di grazia permanente, sia l’esatto contrappunto alla tua riservatezza su alcuni argomenti che probabilmente reputi troppo banali per essere oggetto di discussione e confronto.

E poi arrivava l’estate, il solito messaggio: fra tre ore atterro a Catania.. chi mi viene a prendere? apparivi dagli scogli bianchi di Caucana.. con la tua bicicletta e la tua visiera da saldatore per proteggerti dalla luce.. e in inverno.. stessa procedura, arrivavi a casa nostra con il tuo cappotto di cammello e quegli splendidi mocassini..e ripartivamo da dove avevamo lasciato…e adesso che tu non verrai più, come farò io a riconoscere le stagioni? Non dico nulla di nuovo sulla straordinarietà di Uolter.. Tutti qui dentro sappiamo di cosa sto parlando, voglio dire solo che chiunque in questa e in altre terre abbia avuto la fortuna di incrociarlo può reputarsi certamente fortunato.

 

Adesso tutti noi potremmo dare una spiegazione, trovare delle responsabilità, dare la colpa alle istituzioni che in tutti questi anni non sono state in grado di costruire una strada sicura per raggiungere un’altra città, possiamo dare la colpa ad altri, all’automobile poco sicura, alla superficialità con cui molto spesso tutti noi guidiamo, alle spie sovietiche, alla Nasa, temo però che tutto questo non potrà né consolarci né restituirci Giovannino. Anzi potrebbe soltanto alimentare tutti quei sentimenti che erano lontano anni luce da lui. Credo invece che l’unica cosa che andrebbe fatta, sia vivere questa vita al meglio delle nostre possibilità”.

 

 Nei giorni scorsi, collegati da varie parti del mondo, amici e colleghi hanno voluto incontrarsi virtualmente e brindare a Ninto per un ultimo saluto. La foto in testa all’articolo

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