UN CARTELLO OSPEDALIERO MOSTRA COME CI SIAMO EVOLUTI. SICURI?

Camminando lungo il corridoio del primo piano dell’Ospedale Maria Paternò Arezzo, abbiamo scattato (alla fine del mese di giugno 2012) la foto che vi mostriamo.

Semplicissima: mostra una tabella di trenta centimetri di lato, di quel plexiglass utilizzato negli anni ’70, con scritto – nei tipici caratteri e nei colori di quel periodo – quello che si potrebbe definire un invito, una sorta di preghiera, certo non un divieto, o un obbligo. Insomma, potete leggera da voi, c’è scritto “Il fumo disturba gli ammalati. Si prega di non fumare”.

Si prega. Non è scritto “divieto di fumo”. Certo, perché allora non esisteva alcuna legge che vietasse, come invece vieta adesso e già da qualche anno, di fumare nei locali pubblici, nei locali chiusi. Insomma, ne abbiamo fatta di strada in termini di civiltà, da allora ad oggi. Questo lo spontaneo commento fatto con l’amico che mi accompagnava tra le stanze e i corridoi dell’antico nosocomio lasciato alla collettività iblea dalla benemerita principessa Maria Paternò Arezzo, che Dio l’abbia in gloria perpetua.

“Ma quali cosi, ma cchi stati riciennu. Chi ni sapiti viatri ri chiudu ca succeri intra o spitali”. Ci giriamo verso la voce, profonda, spigliata, disinvolta, in camice sporco e tipici zoccoli bianchi, di quelli un tempo in legno e pelle e adesso in plasticazza ruvida. Un infermiere, che ricordo di avere conosciuto (e di ricordare come uno dei migliori, uno di quelli ai quali ci si affida – e lo scriviamo facendo i dovutissimi scongiuri – con maggiore fiducia che verso certi medici spocchiosi quanto inaffidabili).

E quindi ci spiega, con pazienza evidentemente necessaria per fare capire ai due intrusi quanto non si sa se riusciranno a comprendere: “Il divieto di fumo all’ospedale, che secondo voi è il segno della nostra evoluzione da quando – quaranta anni fa – venne affisso quel cartello color cacca, è solo e soltanto una apparenza. Vero è che difficilmente si vede ormai in giro il fumatore, meno che mai il paziente ricoverato, con la MS in bocca camminare lungo i corridoi o stazionare nelle stanze. Ma non c’è finestra, e soprattutto non c’è porta di sicurezza che non venga utilizzata per dare libero sfogo al vizio dei tabagismi”. E così facendo ci mostra una porta in vetro, di quelle antipanico, a spinta verso l’esterno, in questo caso una scala in metallo zincato, spalancata e con accanto due portacenere di quelli che un tempo si vedevamo nei bar di basso livello. “Quindi si continua a fumare, se non nelle stanze e nei corridoi, ma nelle loro immediate vicinanze e, vi assicuro, il fumo arriva tranquillamente ai pazienti ricoverati. Disturbandoli, è evidente. Senza dire di quanto pericoloso sia lasciare le porte aperte, anche in piena notte.” Noi abbiamo riferito.

 

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