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“TURKEY-ITALY: WHICH BUSINESS MODELS”
23 Ott 2013 16:16
L’Ambasciata di Turchia in Italia ha recentemente organizzato nell’ambito della Quarta Edizione del “Festival della Diplomazia”, il 16 Ottobre scorso a Roma, presso la sede dell’Ambasciata, un convegno intitolato:“Turkey-Italy: Which Business Models”, ovvero “Turchia-Italia: quali modelli di business”.
La sala di Palazzo Gamberini era gremita di pubblico, composto da imprenditori italiani, oltre che da politici, diplomatici e giornalisti.
L’Ambasciatore Hakkı Akil ha dato il via ai lavori illustrando, in un italiano estremamente corretto, le cifre del boom economico turco dell’ultimo decennio, ovvero dal momento in cui il partito dell’attuale Premier, Recep Tayyip Erdoğan, è salito al potere.
Un lasso di tempo in cui il PIL è triplicato, cosi come il reddito pro capite, raggiungendo, circa oltre un anno fa, livelli cinesi, se non più in là, per stabilizzarsi sull’attuale 6%.
Un tasso che comunque, – affermava l’Ambasciatore – secondo le previsioni, è destinato a non mutare per i prossimi anni a venire. Tant’è che la Turchia ambisce, in occasione del centenario della Proclamazione della Repubblica di Turchia, che si terrà nel 2023, a divenire uno delle dieci economie emergenti su scala mondiale.
In sala erano presenti i rappresentanti delle maggiori aziende italiane e Joint venture che operano nel Paese anatolico. Da colossi come Finmeccanica, Ansaldo, UniCredit, Ferrero, ecc., a minori, che sono state stimate in una cifra di 1044.
Le relazioni inerenti alle proiezioni dei dati economici si sono avvicendate, un intervento di spessore, tuttavia, al di là dell’enunciazione di meri elementi numerici o statistici, è stato quello del Viceministro degli Affari Esteri, Lapo Pistelli, il quale si è inoltrato in una lucida analisi storico-geopolitica della Turchia a partire dalla caduta dell’Impero ottomano fino al suo attuale protagonismo in politica estera ed economica.
Specificando la disomogeneità del modello islamico turco rispetto a quello arabo fin dal tempo della caduta dell’Impero Ottomano, Pistelli ha rammentato che il Premier turco, Recep Tayyip Erdoğan, esponendo il “principio della nuova politica della Turchia”, lo fondava su tre concetti fondamentali: profondità strategica (storica e geografica), politica estera multivettoriale e visione centripeta del Paese. Una prospettiva secondo cui, la Turchia, essendo situata al centro della massa continentale euro-afroasiatica, attraverso una diplomazia attiva ed una rete di relazioni multivettoriali, sarebbe riuscita a ripristinare i suoi legami storici regionali, detenendo la possibilità di assurgere al rango di potenza globale.
Pistelli ha ricordato che il vero artefice di questa cosiddetta svolta “neo-ottomana” è stato il Ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoğlu. Autore, nel 2001, di un massiccio quanto esaustivo testo di geopolitica di oltre 500 pagine, intitolato “Stratejik Derinlik”, Profondità Strategica per l’appunto.
Un Davutoğlu – aggiungiamo noi – che sembra ricalcare le parole del geopolitologo Suat Ilhan, secondo il quale la Turchia si trova sul punto di congiunzione di tre continenti, di cui è l’epicentro attorno al quale si sono sviluppate le antiche civiltà, così come le religioni monoteiste. Un Davutoğlu, in sostanza, il quale ha affermato che: “La Turchia non è un Paese periferico né all’Europa, né al Medio Oriente e nemmeno all’Asia centrale. Un Paese la cui collocazione non appartiene a questi hinterland geografici. Essa, per converso, sarebbe un Paese centrale capace di esercitare la propria azione su vasti ambiti geografici tellurici e talassico-continentali. La Turchia è pertanto chiamata a tutelare questo retaggio, questa missione storica nonché a svolgere un ruolo consono a questo immenso retroscena”[1].
Infine Pistelli, definendo l’Italia e la Turchia due Paesi affacciati sul Mare Nostrum, che condividono la medesima missione geopolitica e geoeconomica, ha auspicato una mutua collaborazione italo-turca sia sugli scenari dell’Africa settentrionale post-rivoluzionaria, che in quella subsahariana. Una sinergia fra i loro rampanti imprenditori. Così peraltro storicamente è sempre stato: l’Italia è un Paese naturalmente proiettato verso il Mediterraneo, sopratutto orientale, pensiamo solo all’Impero Romano, ma altresì alle Repubbliche marinare.
Un auspicio che ci sentiamo di condividere in un’Europa che persevera, contro ogni ragionevolezza, nella politica del rigore e dell’eterogeneità dei fini, un’Europa priva di prospettive di crescita che penalizza i Paesi come il nostro.
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