Strage in scuola texana: retorica dell’ennesima tragedia annunciata

“Houston! … qui Ragusa.”

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola 

Cosa è più infernale dell’Inferno? L’inferno quando è prevedibile.

Negli Stati Uniti ci sono state più di duecento “sparatorie di massa” dall’inizio dell’anno. Ora diciannove bambini e un insegnante (e un altro adulto) in classe sono stati uccisi a sangue freddo da un ragazzo di diciotto anni. In classe. Rendiamoci conto.

“Sparava a chiunque e a qualsiasi cosa si trovava davanti. Appena entrato nell’edificio ha iniziato a sparare a bambini, insegnanti e chiunque fosse sulla sua strada”, riferiscono dei testimoni. In classe.

Faccio mie le parole attonite che la star del basket, LeBron James, padre anch’egli, ha scagliato su Twitter: “Sono i nostri bambini e noi continuiamo a metterli in pericolo a scuola. Sul serio, “A SCUOLA” dove dovrebbero essere più al sicuro.” Intorno a mezzogiorno, questo mercoledì nero.

La strage è sinora la più grave tra quelle compiute in una scuola negli Stati Uniti. Nell’anno in corso ci sono state non meno di trentanove sparatorie in istituti scolastici (o università) degli Stati Uniti.

Il killer è stato infine ucciso.

Prima il giovane ha sparato alla nonna, ora in gravi condizioni. Poi si è mosso.

Leggo qua e là che l’America è sotto shock. Liberiamoci dalle ipocrisie e dalla retorica del giorno dopo.

Il mondo è pieno di psicologi del giorno dopo. 

I politici a favore della lobby delle armi sono votati da milioni di elettori. 

Biden, l’uomo più potente al mondo, con le lacrime agli occhi, si è rivolto agli americani e al Congresso: “Possiamo e dobbiamo fare di più. È il momento di trasformare il dolore in azione”. Ha alluso alla sua impotenza nell’affrontare la lobby delle armi. Lui, l’uomo più potente al mondo. E quello delle armi oggi suona più in generale come un tema controverso e sensibile su più larghi scenari.

“Perché vogliamo vivere con questa carneficina? Perché continuiamo a consentire che questo accada?”

Ma non sono sufficienti gli appelli a norme di buon senso sulle armi. E su questa scia di indignazione ideale anche le parole di Obama.

Ma scusatemi. La responsabilità è davvero solo del folle di turno? E la rete sociale attorno? A cominciare da parenti e amici più stretti? E inoltre, se chiunque può avere così immediato accesso all’uso delle armi, senza licenza, la responsabilità di questa roulette russa non è forse di chi legifera e di chi elegge?

Sceso dall’auto con fucile e giubbotto antiproiettile, il ragazzo ha fatto ingresso nell’orrore. Poco prima della strage ha contattato una sconosciuta su Instagram, dicendole che aveva un segreto che voleva condividere: “sto per…”. 

Sul suo account Instagram il killer aveva postato un selfie e foto di armi, inclusa una con due fucili uno accanto all’altro. Per il suo diciottesimo compleanno aveva acquistato i due fucili.

Segnali. Tracce visibili. E davvero, negli anni, non aveva mai tradito “stranezze” nei suoi comportamenti?

Su questo paesaggio di domande retoriche, piomba la irresponsabilità di chi vota e viene votato.

Il governatore del Texas è ideatore del provvedimento che consente a tutti i texani di possedere e portare per strada pistole e fucili senza licenza. È ricomparso un tweet del 2015 in cui invitava i texani a correre ad acquistare armi. 

Dinanzi a questa cecità e psicosi collettiva, la mobilitazione dei giovani è tuttora insufficiente.

Le stragi che si sono succedute nel corso degli anni non sono riuscite a cambiare nulla. Proprio perché la retorica del giorno dopo non ha mai salvato nessuna vittima.

Risuonano vane le parole di Papa Francesco.

“È tempo di dire basta al traffico indiscriminato delle armi! Impegniamoci tutti perché tragedie così non possano più accadere”.

E forse oggi non diceva solo dell’America.

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