La denuncia arriva dalle consigliere comunali di opposizione Caterina Riccotti e Consuelo Pacetto. E’ la storia che si ripete da anni. L’Istituto di Istruzione superiore “Don Milani” sito al villaggio Jungi è in sofferenza per la carenza di spazi, di classi dove spalmare gli alunni che frequentano la scuola. “Anche quest’anno, gli alunni si trovano […]
Storia e racconto degli asini in Sicilia: “U Sceccu”
29 Gen 2024 08:55
Di Salvatore Battaglia
In questo breve racconto descrivo alcuni episodi della mia vita che riconducono ad un aspetto peculiare della tradizione siciliana: U Sciccareddu sicilianu (l’asinello siciliano)
“U sciccareddu”, dolce e malinconica canzone che cantavo nel pullman durante il tragitto New York-Washinton. Il viaggio di piacere di due giorni per visitare la capitale degli stati Uniti d’America organizzato dal giornale Italo/Americano “il Progresso”, è stato nel 1983… io come al solito presi l’iniziativa di animare la compagnia cimentandomi a cantare alcuni brani siciliani tradizionali per far rivivere l’indimenticata Sicilia ai compagni di viaggio, per la maggior parte immigrati o figli di immigrati italiani… destando gioia e commozione… ricordo ancora l’inizio della celeberrima canzone… una fra le tante era: Poveru sceccu miu…
Chi bedda vuci avia, – pareva un gran tenuri – sciccareddu di lu me cori – comu iu t’haiu a scurdari. E quannu cantava facia: – i-ha, i-ha, i-ha, – sciccareddu di lu me cori – comu iu t’haiu a scurdari. Quannu ‘ncuntrava un cumpagnu – subito lu ciarava, – e doppu l’arraspava – cu granni cariti. Chi bedda vuci avia, – pareva un gran tenuri – sciccareddu di lu me cori – comu iu t’haiu a scurdari… etc.
La mia esibizione fu un successo… i gitanti mi offrirono la loro amicizia e il pranzo… invece destai ilarità e sarcasmo da parte dei due amici con cui avevo intrapreso quel viaggio di piacere alla scoperta dell’America…
Ah…! Proposito della celeberrima canzone “u sciccareddu” è una delle canzoni popolari siciliane più famose. Come alcuni dei canti più famosi dell’isola, non ha una melodia molto allegra e, di fatto, anche il testo è un po’ malinconico; tuttavia il brano è stato apprezzato ed
è entrato a far parte della tradizione folkloristica dell’isola. L’autore è ignoto e nel tempo vi sono stati diversi adattamenti e versioni. Lo sciccareddu, cioè l’asino, ha rivestito in passato una fondamentale importanza per la vita delle comunità.
Il Racconto di Mariuzzu u sciumararu
Don Mariuzzu mi aveva visto nascere… lui era noto nel quartiere degli Archi con il nome “Mariuzzu u sciumararu” (Mario il coltivatore di verdure presso le sponde del fiume) e per ironia della sorte, per un breve periodo della nostra vita, abbiamo lavorato insieme presso il Molino S. Lucia di Ragusa… Un sabato mattina di fine luglio mi invitò presso i suoi possedimenti vicino la vallata S. Domenica e con grande meraviglia trovai degli appezzamenti di terreni a terrazza ben ordinati e amorevolmente curati, ma la cosa più sorprendente era la gioia e l’entusiasmo che sprigionava il Mariuzzo nel descrivere tutto ciò perché era parte della sua vita la “Sciumara”. Mariuzzu mi descriveva le varie coltivazioni, la casa dove la sua famiglia aveva vissuto… le varie disgrazie che proprio lì avevano segnato la sua vita per sempre in modo indelebile… la morte della madre e di una sorella uccisi da una bomba lanciata dagli americani durante lo sbarco in Sicilia…, il suicidio di un fratello nella stalla per impiccagione… ma Mariuzzu non destava rancore, (era un uomo di animo buono… a volte si comportava come se quelle disgrazie non fossero mai accadute… e sorridendo parlava d’altro…) proprio dove erano morte la madre la sorella e per ultimo il fratello maggiore… Mariuzzu teneva uno Sceccu (Asinello…) amabilmente curato e tenuto quasi come uno di famiglia… e con molta semplicità mi volle raccontare una storiella che il suo amato padre sin da piccolo raccontava a lui e ai suoi fratelli … come non si poteva destare attenzione… al buon Mariuzzu… e sedutici accanto a Linuzzu (era il nome dell’Asinello…) incominciò il racconto: Chista (questa) storia “ ma cuntau ma patri e iu cun grandi rispiettu ta cuntu senza mintiri e senza livari nenti “ (me la raccontata mio padre ed io con grande rispetto te la racconto senza dire il falso e senza negare qualcosa). Si racconta di un ricco massaro (proprietario di masserie) e di uno Sceccu (Asino) dalle qualità eccellenti. U Sceccu eccezionalmente bello quanto intelligente, aveva un solo difetto, gli mancava la parola.
Il massaro fiducioso e carico “ri” di stima verso l’amico a quattro zampe, si era addirittura convinto che l’animale sarebbe stato in grado di apprendere persino le scienze e le lettere, se qualcuno lo avesse istruito e gli avesse dedicato del tempo.
In seguito a questa ottimistica visione del ricco massaro, si presentò un giovane maestro proveniente da Frigintini povero e squattrinato. Si offrì d’istruire l’asino (sceccu) in cambio di un piccolo compenso, vitto ed alloggio per la durata di un minimo di dieci anni; perché il ciuco apprendeva sì, ma lentamente. Così pattuito si accordarono felicemente.
Al ricco massaro del ciuchino non restava altro da fare che pazientare, finalmente qualcuno gli aveva dato speranza, si sarebbe dedicato ad insegnare tutto ciò che occorreva al bell’asinello.
Il giovane maestro dal canto suo, invece, aveva risolto così i suoi problemi economici e di sostentamento per i prossimi dieci anni. Erano tutti contenti, non sappiamo cosa pensasse nel frattempo l’asino… occorre pazientare per poi trarre le dovute conclusioni…
Trascorsi degli anni, lo stalliere fece notare al maestro che u sceccu non presentava un minimo di cambiamento e che gli anni inesorabilmente scorrevano.
Il giovane maestro, con lo stesso ottimismo e la stessa scaltrezza che aveva mostrato all’inizio dell’impresa, rasserenò lo stalliere. Rispose invitandolo a non darsi pensiero, a stare tranquillo e conclude dicendo:” DI CCA’ A TANNU O MORI U SCECCU O MORI U PATRUNI “. Traducendo dal siciliano “di qua a quando trascorreranno questi dieci anni, o sarà morto l’asino o sarà già morto il padrone”.
Il problema non si pone… e con una sonora risata Mariuzzu mi dette una pacca sulla spalla e insieme ci avviamo verso la cucina per degustare la ricotta calda con il pane di casa, magistralmente preparata secondo gli usi e la tradizione locale…
La ricerca e la scoperta dell’origine del nome in siciliano dell’asinello come Sceccu o Scicareddu
Il giorno susseguente all’andata nella sciumara di Mariuzzu andai di buon’ora dal Carrittieri Linu (Carrettiere Lino) Garaffa per cercare meglio l’origine della parola “Sceccu” nel nostro parlato dialettale. Il Linu abitava vicino la chiesa di Santa Maria delle Scale a ridosso della casa di Luciano inteso “u Iattu” (il Gatto), conosciutissimo nel quartiere perché aggiustava le ossa e le distorsioni… (era un antesignano dell’ortopedico e del fisioterapista…); per il compenso bastava dare qualcosa di buono da mangiare o in rari casi qualcuno donava qualche soldo… “U Iattu” non pretendeva niente ma gradiva tutto ciò che gli si donava… Suonai ben tre volte nel campanello del Carrittieri e dopo un po’ mi aprì con un saluto caldo e sonoro… Buongiorno…! “Chi puozzu fari pi Tia… Tu sii u figghiu ri Testa Rossa u varbieri…” (che cosa posso fare per Te… Tu sei il fiiglio di Testa rossa il barbiere). Io gli risposi che volevo sapere l’origine della parola “Sceccu” nel nostro dialetto e lui immediatamente mi spiegò che secondo una leggenda, per spiegare l’origine di questo nome, dobbiamo risalire al tempo in cui gli Arabi conquistarono la Sicilia. I rapporti tra i due popoli inizialmente non erano tra i migliori. Il re arabo Miramolino voleva a tutti i costi e in tutti i modi affermare il suo potere di sovrano e stabilì delle regole che vietavano ai Siciliani di portare con sé armi e di andare a cavallo, un vero e proprio abuso di potere.
“Né noi, né loro!” pensarono i Siciliani.
Per vendicare il torto subito, allora, i siciliani decisero di avvelenare l’acqua di tutti gli abbeveratoi, per fare morire tutti i cavalli presenti sull’isola.
Gli Arabi a questo punto decisero di far arrivare in Sicilia dei cavalli provenienti dall’Africa, ma questi morirono in nave a causa di una tempesta. Si salvarono solo degli asini e furono questi che gli Arabi furono costretti ad utilizzare per il loro trasporto. Gli sceicchi sui somarelli…
I Siciliani così cominciarono a deridere il re, decisamente ridicolo a cavallo del suo asino, tanto che vista la reale situazione, il re, fu costretto a rivedersi ridando la libertà tolta al popolo siciliano.
Da quel momento in poi gli asini furono chiamati “scecchi”, facendo derivare questo nome dal termine “sceicchi”, parola con la quale venivano indicati gli Arabi che cavalcavano gli asini.
Il Saluto e il Proverbio…
Beh…! Potevo ben dire di aver colmato una delle tante lacune su una delle peculiarità che contraddistinguono la mia amata terra di Sicilia dalle altre regione d’Italia… anzi pensai immediatamente che il giorno dopo avrei raccontato il tutto al mio amico sciumararo Mariuzzu presso il Molino S. Lucia… sicuro che gli avrei fatto cosa gradita… Salutando con gratitudine Don Linu il carrettiere, notai proprio nella parete della cucina una maiolica con un bel proverbio sicicilano “U sceccu si pò vestiri ri cavaddu, ma prima o poi aragghia” e sì disse il Lino: questo proverbio vuole semplicemente dire che si può anche fingere di essere ciò che non si è, ma la propria natura, prima o poi, verrà fuori. Questo modo di dire, dunque, è un invito a non mentire sulla propria natura e a mostrarsi sempre in modo sincero, e fu così che ci salutammo…
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