È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
STORIA E NATURA
20 Mar 2013 21:02
Uno dei meccanismi con i quali si è costruita la cultura della sopraffazione – di una razza sull’altra, di una classe sull’altra, di un sesso sull’altro – è quello della trasformazione della storia in natura.
La narrazione, che si sviluppa nel tempo e al tempo rimanda per la sua piena comprensione, è la forma con la quale l’umanità si rappresenta la storia. Ovvero il suo divenire, il suo incedere, ma – anche – la sua relatività: il fatto cioè che i suoi processi, i suoi eventi, le sue leggi, le sue organizzazioni (fossero anche le più complesse) hanno un inizio e una fine, magari ancora di là da venire ma – è solo questione di tempo – ce l’avranno, una fine.
La natura non si fa “narrare”: richiede un atto diverso di apprensione cognitiva, costringe ad aderire ad una logica totalmente diversa, anche quando ci si confronta con le più importanti trasformazioni, con i più radicali cambiamenti. Il tempo in cui si svolge il suo processo evolutivo è infinitamente più esteso e, complessivamente, non cancella ma trasforma, il nuovo dal vecchio e il vecchio nel nuovo (a parte eventi catastrofici straordinari quali ad esempio quello che procurò l’estinzione dei dinosauri…..).
La sopraffazione nella storia della civiltà umana ha accompagnato le società e gli individui da ere arcaiche fino ai nostri giorni, con il suo correlato necessario al suo affermarsi: la violenza. E tuttavia, quest’ultima non avrebbe potuto garantire il mantenimento dello status quo senza lo strumento che ha senza dubbio il potere di irrigidire, di bloccare i rapporti fra gli esseri umani: il mito della natura fatto agire nelle cose della storia!
Pensiamo alla schiavitù, nelle diverse forme in cui essa si è espressa nella storia. Dalla società tirannica che ammetteva l’assoggettamento di esseri umani ad altri esseri umani nella forma del rapporto schiavo-padrone, alla società medievale in cui la servitù era affrancata da una condizione di totale asservimento ma manteneva uno status di quasi totale mancanza di diritti rispetto all’aristocrazia del possesso. Alle società moderne e contemporanee, che hanno spostato la schiavitù al confine della loro organizzazione civile e politica, spinte a far ciò dalla necessità di moltiplicare a dismisura la disponibilità della forza lavoro attraverso il livellamento formale dei diritti politici entro i suoi confini.
Aveste chiesto ad un proprietario terriero dell’Alabama di metà ottocento di giustificare il possesso di schiavi neri nelle sue piantagioni di cotone, vi sareste sentiti dire – senza alcun tentennamento – che ciò rispondeva ad un ordine naturale delle cose. O persino divino (che è un altro verso del naturale!). Che in natura si sprecano gli esempi di un ordine gerarchico in cui chi sta sopra domina chi sta sotto.
E così per il rapporto fra i sessi, alla cui scellerata configurazione sessista e misogina il genere umano ha sacrificato metà di tutta la ricchezza culturale, emozionale, creativa potenzialmente disponibile. E’ “naturale” che un sesso domini un altro, è nell’ordine naturale delle cose che ciò avvenga, è natura!
Il meccanismo va smontato: ognuno con la sua parte di responsabilità, ha la possibilità di esercitare la sua funzione critica recuperando la piena consapevolezza di quanto tutte le cose del consorzio umano, tutte, siano storiche. Destinate cioè a tramontare. Prima o poi.
Oggi, che viviamo immersi nella ideologia ecumenica del mercato, molti soloni tentano ancora di convincerci che l’unico mondo possibile è quello organizzato intorno al valore del profitto, dell’accumulo di ricchezza/potere, del consumo: vale a dire il mondo a cui diamo il nome, forse un po’ vetusto, di capitalismo. Nel far ciò hanno bisogno di insinuare in ognuno di noi l’inquietudine della inaccettabilità, dell’immoralità, della inapplicabilità di un’alternativa vicina nel tempo eppure tanto lontana: il comunismo.
Il gioco è semplice: la paura del suo ritorno contribuisce a farci credere che il suo antagonista sia un sistema naturale, a-storico, immutabile, l’unico che corrisponda pienamente alla natura umana.
Uno spettro si aggira per il mondo occidentale: l’idea che anche il capitalismo finirà.
E’ solo questione di come e quando.
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