STEVIA REBAUDIANA BERTONI

La Stevia rebaudiana Bertoni è una pianta comunemente chiamata stevia o estevia dal nome di chi la menzionò per primo, ossia il botanico e medico spagnolo Pedro Jaime  Esteve (1500-1556) che la scoprì nel territorio dove è situato l’attuale Paraguay. Stevia rebaudiana Bertoni in onore del botanico Mosé Giacomo  Bertoni  (1857-1929) botanico e scienziato svizzero.

Originaria del Brasile e Messico e diffusissima anche in Perù, Bolivia e Sud America in generale, si potrebbe definire una componente della farmacia di Madre Natura, perché tra le altre cose cura o regola il diabete, migliora  lo stato d’ansia, la circolazione, risulta antiossidante, antiinfiammatoria, anticancerogena, ecc.

È una pianta erbacea arbustiva, perenne, di dimensioni contenute (altezza  circa mezzo metro)  e appartiene della famiglia delle asteracee (della stessa del crisantemo e del girasole). Ha fiori piccoli e biancastri e le foglie ovate e opposte.

Predilige terreni soffici e sciolti e tollera bene invece l’acidità del terreno. Va tenuta in posizione abbastanza soleggiata.

D’inverno, va  protetta dal gelo (con pacciamatura o in serra). Si riproduce con seme, ma per talea il successo è più facile, ne basta anche una piccola (purché priva di fiori) e  piantata subito nella  terra o un vasetto e ha grandi possibilità di radicare.

Il terreno va tenuto  costantemente umido e senza ristagni. Solo durante l’inverno non si deve bagnare o quasi.

Non è certo una pianta da considerarsi ornamentale e allora perché coltivarla?

La stevia, in tutte  le sue parti, contiene un dolcificante, e  la concentrazione maggiore è nelle foglie ed è fino a trecento volte più dolce dello zucchero, (per lo meno la stevia di origine). Sì, perché la Monsanto  ha  fatto anche  piantine transgeniche e ne ha eliminato le sue proprietà curative, si teme addirittura una contaminazione con l’impollinazione.

Al contrario della canna da zucchero o della barbabietola è a zero calorie e non ha controindicazioni per diabetici per esempio, anzi stimola il pancreas nella produzione di insulina, non ha controindicazioni e non mette a rischio i denti con la produzione di carie e, nei paesi d’origine, viene usata anche come pianta medicinale da secoli. Contrariamente ai dolcificanti artificiali non si altera nelle alte temperature (cottura dei dolci, ad esempio) o col freddo (gelati, ecc). quindi  pratica e sicura.

Un’altra caratteristica che la rende  estremamente importante è che ha il sapore dello zucchero senza il retrogusto chimico dei dolcificanti artificiali.

Viene da chiedersi come mai non è più diffusa e usata, con requisiti così interessanti.

Bella domanda!

L’aspartame, il dolcificante artificiale attualmente più usato, non è poi così innocuo come vorrebbero lasciar credere. Ha un mercato importante che le industrie che lo producono non intendono perdere, con buona pace per la salute dei consumatori, in primis i diabetici o chi ha problemi di peso.

C’è stato un periodo in cui si trovava relativamente con facilità presso le erboristerie, poi quando ha cominciato a diffondersi anche in Europa e qualche vivaista ha cominciato a vendere piantine (che come si è detto, sono abbastanza facili da coltivare), sono sparite anche da lì.

Adesso si ricomincia a trovarne, ma va prestata attenzione, leggere attentamente l’etichetta e quello che contiene in quanto non sono totalmente a base di stevia o estratti da questa pianta. Spesso contiene altre sostanze e non sono affatto  a zero calorie. Per  evitare questi inganni  è consigliabile andare alla fonte  e acquistare la stevia  elaborata in Bolivia  o in Paraguay.

Sono evidenti le influenze delle grandi aziende mondiali di dolcificanti artificiale.

Quindi meglio coltivarsela in casa o in giardino.

Il bello e pratico di questa piccola pianta è che  si può tenere in vaso  sul davanzale o sul balcone e come non bastasse non ruba spazi ai fiori vicini ma li rende più belli e rigogliosi.

Si può masticare una foglia fresca o farne un thè.

Oppure:

“Ho finito le zollette, favorisca una fogliolina nel caffè…”.

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