SOLO…MIO AMORE!

Sempre, quando si fa il gioco dei dischi o dei libri o dei film da portare nell’isola deserta, si rischia di incappare nell’arrabbiatura di qualcuno. Che non condivide. O che, addirittura, si ritiene offeso dalle scelte proposte.

Mettiamo le mani avanti e giochiamo! E il gioco di oggi è: i solo più entusiasmanti, eccitanti, imprescindibili o anche solo più “importanti” che si ricordino.

“Non è materia da ridere”, afferma – con l’ira aristocratica del principe delle tenebre – il Dracula/Oldman di Coppola  al giovane Harker/Reeves, sorpreso in un ghigno sarcastico che il conte non gradisce. E dunque serietà e compostezza, nel compito arduo di scegliere alcune gemme della musica improvvisata che tornano ad abitare i nostri pensieri musicali, inestirpabili, intramontabili.

Naturalmente, laddove possibile eviteremo scelte ovvie o – quasi un contrappasso – impossibili: si pensi, tanto per fare un esempio, a John Coltrane: come diavolo si può fare una cernita fra le centinaia di solo partoriti dalla mente musicale di un genio come lui? Ma se restringiamo le cose, per esempio facendo agire un criterio contestuale – tipo: un particolare set musicale o una particolare situazione creativa, forse ne caviamo qualcosa.

E allora cominciamo.

Cominciamo da Andy Sheppard, sax tenore britannico da tempo sodale di Carla Bley e a lungo nel folto organico dell’orchestra formidabile di George Russell. Il suo intervento nell’ennesima “trascrizione” del solo di Davis in So What, dal seminale Kind of Blue, è al calor bianco: un crescendo di intensità e volume che può perfino farvi temere per l’incolumità dei vostri diffusori. Dal live album London Concert.

Restiamo al sax, con un altro tenorista che spesso infiammava  i set, con la sua prodigiosa tecnica e la sua frizzante sapienza melodica, che gli consentiva di mixare jazz e pop con una fragranza deliziosa: il grande Mike Brecker, scomparso nel 2007. Il suo solo: dal cd Infinity di McCoy Tyner, il possente Impressions di Coltrane, torrenziale, ubriacante. Una lezione di rigore formale dentro a un’esplosione di libertà espressiva.

Facciamo un triplo salto mortale e ci trasferiamo ai sulfurei anni ’60 della Swinging London: i mitici Cream, ripresi durante una loro trasferta americana al Fillmore West, nel doppio live Wheels of Fire. Il secondo solo di Clapton nel blues metropolitano di Crossroads è rimasto nella storia: mobile, struggente, geniale. Mai più Clapton si è ripetuto con un tale credibile blues feeling.

Di poco successivo, il capolavoro davisiano In a Silent Way, preparatorio dello storico Bitches Brew, contiene diverse perle. Fra tutte, per il singolare approccio timbrico, per la geometrica logica costruttiva, per le nuances rock che frizzano fuori da un tessuto armonico jazzistico, il solo chitarristico di un giovane John McLaughlin nell’ipnotico, seducente Shh Peaceful .

Altra giravolta e ci catapultiamo dentro un altro live che ha fatto la storia del rock: il Comes Alive del Peter Frampton post Humble Pie. Il brano è ovviamente, ossessivamente, la sua lunga erotica pagana cavalcata chitarristica in Do You Feel Like We Do. Quanto di più conturbante la chitarra rock abbia mai detto!

Chiudere non è mai facile. Ma è necessario, se non si vuole generare noia.

E chiudiamo con un duello, che poi duello non fu ma si risolse come un abbraccio e una specie di danza dei suoni fra due grandi sassofonisti: Sonny Rollins e John Coltrane, l’unica volta insieme (almeno su disco), nel loro infuocato Tenor Madness.

Il gioco diventa irresistibile: indovinare di volta in volta chi lancia la palla e chi la raccoglie non è difficile; apprezzare la differenza e pure la complementarietà dei linguaggi è godimento allo stato puro. Melodico, geometrico, rilassato, rotondo Rollins. Profondo, labirintico, aspro, aguzzo Coltrane.

Dopo, non vorrete sentire altro.

 

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