È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
SI, IO C’ERO
07 Feb 2014 21:25
…sì io c’ero in una di quelle cerimonie, ed ero uno di quei capi minori che si acquartieravano ovunque fosse più comodo.
I miei uomini erano tutti in attesa, appoggiati alle loro lance ed alle loro scuri, accanto ai cavalli.
Erano in attesa perchè sapevano che quella notte sarebbe accaduto qualcosa di straordinario.
Eravamo cresciuti, parecchi matrimoni e molte nascite avevano allietato, nell’arco dell’anno precedente, le nostre capanne, e adesso eravamo una tribù grande, una tribù forte, ma ancora nessuno voleva ammetterlo.
Noi eravamo pronti anche a combattere e a morire, se necessario, per acquisire questo diritto.
Lo sciamano cantava adesso non più a bocca chiusa, ma emetteva strani mugolii comprensibili solo a lui.
Tutti i capi erano riuniti in una prima cerchia attorno al fuoco.
Noi minori nella cerchia esterna, ma, secondo la Cerimonia del Riconoscimento, pronti a fare il passo avanti ed insercirci in quella primaria.
Gli uomini aspettavano in mio cenno, noi aspettavamo lo sciamano.
Le due scuri brillavano alla luce delle fiamme.
Lo sciamano ad un tratto tese le braccia al cielo e smise di mugolare.
Rimase così in un istante che giudicai eterno.
Io aspettavo, i miei uomini aspettavano, la tribù aspettava.
Ci sarebbero stati canti di gioia o nenie di morte?
Lo sciamano prese le due asce, le incrociò, le fece tintinnare tra esse.
Ad un tratto lanciando un grido spettrale lanciò in alto la prima, la guardammo volare in alto, sempre più in alto, e ricadere.
Superò nella caduta la prima cerchia e venne a conficcarsi sul terreno alla mia destra. Rimasi immobile, non era ancora finita.
Con un altro urlo lanciò in alto la seconda ascia, ma stavolta la lanciò dritta, non a parabola per superare la prima cerchia, e fu li che io e mi miei uomini sentimmo un brivido di gelo correrci lungo la schiena.
Le armi si agitarono, molti si cominciarono a guardare attorno, chi per scegliere un avversario da abbattere, chi per guardare da chi difendersi. L’ascia volò alta nel cielo e ricadde.
Ma accadde una cosa strana, non cadde in perpendicolare così come era stata lanciata, ma come se una invisibile mano la tenesse in mano, essa rallentò la sua caduta.
Si fermò a mezz’aria e mi puntò.
I miei uomini si misero davanti a me a protezione, ma la scure non calò su di me,semplicemente venne a infilarsi nella guaina che tenevo alle spalle al posto della mia ascia che avevo appoggiata in terra.
Nel silenzio generale fu lo sciamano a venire da me mi guardò dritto negli occhi e poi prese la mia mano sinistra, ci sputò dentro e con le sue luride dita rimestò dentro il suo stesso sputo leggendoci cose che solo lui sapeva leggere.
Mi girò attorno quattro volte e tornò al grande fuoco centrale.
Estrasse dal terreno fangoso il suo Bastone di Magia, e lo roteò sulla testa dei capi presenti.
Essi inchinarono verso lo sciamano e poi girandosi lo fecero verso di me.
Non feci alcun passo avanti nella cerchia primaria, furono essi ad allargarsi ed a mettersi tutti attorno a me.
Ero stato riconosciuto il loro capo, il capo di tutte le loro tribù.
Ed io nacqui in quella notte.
Quella notte nacque la mia leggenda.
Ero nato io, Attila, capo degli Unni.
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