SFIGMO E FONENDO di Alessandro Tumino

Il rapporto medico-paziente è notevolmente cambiato nel corso degli ultimi 20 anni, passando da un rapporto  di quasi “sudditanza” del Paziente nei confronti del Medico sapiente e competente ad un rapporto che mi piace definire quasi da “trattativa sindacale” tra un paziente sempre più informato e un Medico sempre più ” obbligato” a concordare con lo stesso strategie e scelte terapeutiche. L’informazione “Medica” è sempre più presente nei mass media ed ha invero qualità non sempre eccelse e a volte più capace di “straviare” che di indirizzare in modo corretto.

Sento di dover dire la mia e di fornire qualche considerazione al riguardo;la prima,che appare ovvia,ma spesso non appare tale è che , comunque, la Medicina attuale, per quanto iperspecialistica e, sembra, onnipotente non è comunque e non lo sarà penso mai, capace di sconfiggere la morte. Appare banale ma, credetemi, spesso negli occhi e negli sguardi ed anche nelle parole dei congiunti di un “morente” magari ultra80enne con una patologia neoplastica o degenerativa evoluta, si legge o si percepisce la domanda “ma comu dutturi sta muriennu”.

Credo che il compito nostro sia quello di fare il massimo in termine di conoscenza tecnica e di assistenza al paziente,ma credo sia corretto anche consentire di “avere una giusta morte o cristianamente la morte del giusto” quale deve essere considerato un paziente giunto al fine del suo percorso di vita.

Faccio questo “mestiere” da oltre 25 anni e lo svolgo,non me ne vogliano i Colleghi Specialisti,dalla parte privilegiata della Medicina di Famiglia, quella che entra dentro le case e le”cose” delle Famiglie dei nostri Assistiti,  e penso con malcelata modestia di poter dire che l’avvicinarsi del trapasso oggi è sempre meno “accettato” e “capito”.

Il Medico ha l’obbligo di attivare tutte le risorse “umane” e tutte le sue conoscenze e competenze tecniche per ritardare la morte del paziente che cura, ma ha anche l’obbligo umano,cristiano e non ultimo deontologico, di evitare l’accanimento e di consentire, nel rispetto supremo del paziente, che quando è giunto il momento,lo stesso “goda” del giusto “diritto” di morire e spesso di porre fine alle sue sofferenze.

Si discute di giusta morte,di accanimento,di dichiarazione di fine vita;si litiga da posizioni ideologiche e ci si confronta su posizioni e leggi, ma la vita di tutti i giorni va oltre e ci pone di fronte a realtà che né le leggi o le ideologie o i pensieri “umani” possono in toto prevedere.

Tutti abbiamo il diritto di “vivere” e di vivere al meglio, e ciò chiama in causa anche le responsabilità individuali sui comportamenti e sulle scelte di vita,ma credo fortemente che sia altrettanto giusto che, quando il Buon Dio ci chiama, tutti abbiamo il “diritto” di morire.

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