Se ti aspetta un cane o un gatto: la Samba terapeutica dell’accoglienza

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola.

Quando torno a casa, un cane mi balla la Samba. Brasileggia dalla felicità. 

Un cagnolone bianco miele mi accoglie in festa e mi fa sentire come Marlon Brando alla Notte degli Oscar per Ultimo Tango a Parigi. 

Persino a me pare eccessivo il Carnevale di Rio come comitato d’accoglienza.

Mi capita di star fuori una giornata intera. Appena mi vede, il modo in cui si agita, scodinzola, salta, fiata, abbaia, prima che io scenda dalla macchina, sembra dirmi:

“Finalmente ti sei arricampato! Ti aspetto da anni. Ero in ansia. Ho il cuore a mille. Pensavi di filartela per sempre? Falla ‘na telefonata! Un WhatsAppino. Stronzio che non sei altro!” 

Quindi inizia a leccarmi come fossi un Super Calippo fragola e limone. Mi annusa financo. Con passione. Manco fossi uno Chanel avvinto a una Marylin.  

Essere la ragione di vita di una creatura dopo una giornata di melma, ti lascia stupefatto. Ti inorgoglia. Cominci a crederci: tu sei il migliore nel Sistema Solare. Almeno per tre minuti di pura beatitudine.

Mi sento tanto Ulisse. Allorché Odisseo fece ritorno ad Itaca in taxi, dopo anni di sudate peregrinazioni e disavventure rocambolesche, solo un essere vivente riconobbe in lui l’antico e adorato padrone: il cane Argo. Dopo una mattinata di Ciclopi, Polinfamie, Maghe Circi e Sirene malefiche e dodici circumnavigazioni omeriche per le rotatorie della mia città, solo un’anima si accorse dello sventurato redivivo. Il figlio Telemaco non se lo filò di striscio il papino. D’altronde il giovane non viene descritto come un tipo perspicace. In lui gli storici indovinano il primo dei partecipanti al “Grande Fratello” dell’antichità. La moglie Penelope invece aveva gente. Invitati. Era distratta. Che dire dei Proci? I pretendenti non erano particolarmente vigili: non si accorsero mai che Penelope cuciva lo stesso scaldacollo da tre decenni. Una gran manica di procioni. Diciamocelo. 

Ma Argo no. Era connesso. Argo arguì dalla foto del profilo che il tizio non era esattamente nuovo. 

Ebbene, io non risplendo in un poema epico. Piuttosto ansimo in un racconto barocco. Ma nel mio piccolo mi commuove l’accoglienza di questo piscione peloso.

Grazie a lui anche Nessuno può sentirsi qualcuno in questo regno di viaggi e di ritorni nel cerchio dei sentimenti umani. È questa cosa succede anche a tanti di voi lettori, ne sono certo. È la psicologia dell’accoglienza, la terapia del pet incantesimo, la psicomagia salutare e benefica dell’abbraccio contro gli stress, le angosce e gli orrori di ogni guerra di questo mondo che non aspetta mai nessuno con la gioia surreale degli invisibili slanci.

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