SCENARI COMPLESSI DI INTERAZIONI

È oggi il luogo di ogni incontro e pertanto di tutti i possibili. È ugualmente il terre­no di tutte le contraddizioni, e quindi di tutti i pericoli: è entro lo spazio urbano dalle frontiere mal definite che si ritrovano le discriminazioni legate alla disoccupazione, alla povertà, al disprezzo delle differenze culturali, ma nel contempo è lì che si deli­neano e si moltiplicano delle prassi civiche e sociali di solidarietà.

Là, nella città viene offerta l’occasione di una partecipazione al diritto di cittadinanza di tutti gli abitanti: una cittadinanza a livello cittadino.

E la pedagogia  nel contesto di una città, nel confronto costante implica sempre un alto grado di perce­zione olistica dei fenomeni da interiorizzare. Dal momento che il raffronto, an­che se fatto su elementi particolari, coinvolge sempre stili di vita più ampi, viene privilegiata l’interpretazione di scenari complessi di interazioni, piuttosto che la conoscenza parcellizzata di contenuti formali appositamente confezionati per l’apprendimento.

Al bambino si lascia più facilmente sperimentare il mondo, nel senso che il mondo è percepito come fatto più da cose che si imparano rispetto a quelle che si insegnano.

Parlare di città sostenibili delle bambine e dei bambini ad esempio, vuol dire ricono­scere la centralità dei bambini nei processi di miglioramento urbano; considerare la città come una realtà complessa, dove agire per creare un sistema equilibrato di relazioni tra persone, luoghi e ambienti.

La pratica del movimento femminista ha insegnato e insistito sul partire da sé: ora dobbiamo riconoscere lo stesso diritto a bambine che crescono in un ambito in cui sono stati rifiutati i vecchi schemi. Quando donna era sinonimo di moglie, madre, angelo del focolare, risultava più facile prendere posizione, dire di sì o di no, ma quel modello per le bambine non c’è più.

C’è la libertà di scegliere, ma anche la paura, lo sconcerto, l’incertezza.

Resta il diritto di scoprirsi sole e nello stesso tempo il diritto a avere un grembo materno che faccia da culla accogliente e calda, il diritto a un confronto appassionato e critico ‘Voglio stare con te, ma non voglio essere come te perché tu sei irripetibile come lo sono io’.

Il diritto a conoscere, per prove e errori, il senso e il significato dell’avven­tura di vivere.

Il diritto di mettersi alla prova per costruire una mediazione col mondo che sappia scoprire figure simboliche femminili; il diritto a rifiutare e a reinventare le fiabe tradizionali.

Il diritto a essere se stesse, senza qualità precostituite, ma capaci di far pro­prio il senso di responsabilità e la dolcezza: non perché “sei una donnina”, ma semplicemente perché sono ‘io’.

Né piccole donne né donne in piccolo, il diritto di essere solo piccole, fatico­samente determinate a avere coscienza di sé, per riuscire a ricucire pensiero e affettività, per ottenere consenso, ma rivendicare divergenza e non acconten­tarsi di ogni facile omologazione.

Il diritto a rendersi visibili senza essere oggetti, dando parole alle riflessioni e ai pensieri.

Il diritto a entrare in contraddizione con se stesse, provando a misurarsi con la fatica di diventare grandi in autonomia e libertà.

Come diceva una grande scrittrice, Virginia Woolf – basterebbe vedere realizzato il diritto a avere una stanza tutta per sé, se ciò significa avere uno spazio proprio, inviolabile, per entrare in colloquio con se stesse e trovare le parole ‘giuste’ e scoprire il percorso da seguire senza dover accettare una piani­ficazione voluta per il ‘tuo bene’ – che fa di te una donna in carriera o una brava mogliettina – ma una persona che si inventa il progetto di vita, per affrontare la pluralità del mondo con tutti i suoi colori – senza escludere il rosa.

 

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