È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
SCEGLIERE SE MORIRE DI FAME O DI CANCRO
09 Ago 2012 16:51
” Non c’è scelta, non c’è futuro senza questa fabbrica. Dove si può andare, qui abbiamo tutto, non possiamo vendere perché nessuno vuole le case del quartiere Tamburi o ce le vogliono togliere per un pezzo di pane.”Quartiere Tamburi, il quartiere più inquinato d’Italia. A parlare, raggiunta al telefono, è Teresa Rizzo, moglie di un operaio dell’ Ilva.
La paura del futuro si posa cupa sulle case, più spaventosa della polvere minerale, corrode gli animi come quella corrode i polmoni. Martino spiega che a Tamburi sono «18mila morti viventi. Per la salute e per il lavoro. Ho il mutuo di casa dei bambini, che devo fare? L’Ilva è la nostra sola fonte di sopravvivenza. E se l’Ilva mi chiamasse io andrei immediatamente. Non so più come andare avanti».
Avviamo una piccola inchiesta fuori dai canoni regolari,con domande fatte qua e là sotto gli ombrelloni da spiaggia o da giardino, inattendibile dirà qualcuno, per capire quanti conoscano e seguano la vicenda del polo siderurgico più grande d’Europa. Non serve trascrivere e analizzare i dati raccolti, e non perché siano parziali e inattendibili come dice il signor qualcuno, anzi parlano chiaro: sono in pochi a mostrare d’averne contezza. Eppure la terra di Sicilia non è lontana da Taranto; abbiamo Gela, abbiamo Priolo, e anche noi si va avanti in mezzo ai veleni finché l’interesse dei grandi gruppi economici lo vuole.
Certo, siamo in estate, bisogna staccare, e in vacanza va anche la testa, la tv si accende solo per le gare olimpiche, non si leggono giornali. Ci sarà pure un motivo perché le leggi capestro vengono sempre discusse in estate!
In una sorta di rassegnazione -e nell’indifferenza che ne è figlia – di una nazione affondata in una crisi ormai infinita, in una nuova povertà dignitosa ma offesa e insultata dai vari personaggi di cartapesta che ci inondano di gossip e che spudoratamente girano l’Italia balneare a suon di …mila euro, si va consumando una tragedia dell’assurdo all’italiana. Il dramma dell’Ilva di Taranto, – leggiamo nelle cronache locali-, è figlio di decenni di pressapochismo e disinteresse della politica. Quella che non ha controllato chi e come ha prodotto posti di lavoro, con quali ricadute ambientali sul territorio… preoccupandosi esclusivamente del ritorno elettorale di un polo siderurgico. chiudendo gli occhi sui numeri della diossina, su famiglie intere sterminate dai veleni di un’acciaieria che ha fatto salire in maniera vertiginosa le patologie in quel fazzoletto di terra nello stivale di Italia.
Dopo anni di denunce, di ben tre ordinanze sanitarie della Regione Puglia che ha ordinato di abbattere oltre duemila capi di bestiame e vietato il pascolo entro un raggio di 20km attorno l’area industriale, di allevare cozze e di fare giocare i bambini nel terreno adiacente alla zona Tamburi, è stata avviata una perizia epidemiologica. Secondo i periti nominati dalla Procura, la situazione sanitaria a Taranto è molto critica, anzi unica in Italia e le stesse concentrazioni variano nel tempo e dipendono dalla direzione del vento. Il problema delle polveri e dei metalli, in particolare concentrazione nel quartiere Tamburi, è legato alle Cokerie. “Ci sono pochissime realtà che utilizzano fasi a caldo come quelle usate dall’acciaieria a Taranto, bisogna andare in Pakistan o in Polonia per trovare realtà uguali. Per quanto altro tempo i cittadini di Taranto dovranno essere indebitamente esposti a sostanze certamente cancerogene a concentrazioni largamente eccedenti il valori obiettivo di qualità previsti dalle normativa vigente.
L’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte“.
Il 26 luglio 2012 il GIP di Taranto ha disposto il sequestro senza facoltà d’uso dell’intera area a caldo dello stabilimento siderurgico Ilva. I sigilli sono previsti per i parchi minerali, le cokerie, l’area agglomerazione, l’area altiforni, le acciaierie e la gestione materiali ferrosi.
« Non c’era possibilità di adottare altri provvedimenti – ha detto il Procuratore Vignola nel corso della conferenza stampa in cui si annunciava la chiusura preventiva- le responsabilità politiche, amministrative, economiche non spetta a noi cercarle – Abbiamo operato nel recinto delimitato dal Codice.”Nell’ordinanza il GIP conclude che “Chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato nell’attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza”.
Ma gli operai di Taranto sono scesi in piazza contro il decreto di sequestro preventivo dei sei impianti dell’area a caldo dell’Ilva. Protestano perché per loro questo fermo è la fame. “Siamo tutti qui a testimoniare la nostra disperazione. Siamo ingegneri, tecnici, operai: non c’è distinzione di figure professionali. Siamo tutti nella stessa situazione. In Italia le bonifiche non vengono fatte da oltre 12 anni, a Taranto da 50 anni; oggi si chiede che Taranto sia risanata, che l’Ilva continui a produrre.”
Tutti qui hanno un parente che indossa la tuta da metalmeccanico, tutti sanno che queste polveri fanno male, ma non esiste alternativa. Antonia Nardelli fa la spesa al banco dove anche la frutta colora di rosa. Racconta di avere problemi di respirazione: «Lo pneumologo mi ha chiesto – ma signora lei dove lavora?-e quando ho spiegato che ero casalinga si è stupito. I miei polmoni sono carbone. Ma non mi importa, la fabbrica deve rimanere aperta».
Di contro nasce il comitato Donne per Taranto, protagoniste del docufilm denuncia della giornalista pugliese Valentina d’Amico“La svolta, donne contro l’Ilva”; donne coraggiose decise a difendersi e difendere il territorio e i loro figli, che chiedono giustizia, donne vittime come Anna Carrieri che si è ritrovata sulla sedia a rotelle perché il suo sangue è infestato di metalli pesanti, donne che rifiutano il ricatto occupazionale messo in atto dai dirigenti dell’Ilva per i quali “se chiude Taranto chiude anche Genova.”
Oggi il sindaco di Taranto cerca di mediare, di raffreddare gli animi; è vero, si sono fatti errori,dice, bisogna prenderne atto, imparare la lezione e risanare; intanto da parte dell’azienda sono pronti i primi soldi da investire per mettere a norma le emissioni dall’impianto. Ne prendiamo atto scordandoci che tanta gente è già malata o contaminata e continuerà a morire per non so quanti decenni. Però abbiamo imparato la lezione! Per la cronaca, mentre il cielo di Taranto continua a colorarsi di rosso per via delle emissioni dell’Ilva, riportiamo in chiusura i dati della perizia epidemiologica dei periti nominati della Procura di Taranto raccolti in sette anni di osservazione:
· un totale di 11550 morti, con una media di 1650 morti all’anno, soprattutto per cause cardiovascolari e respiratorie;
- un totale di 26999 ricoveri, con una media di 3857 ricoveri all’anno, soprattutto per cause cardiache, respiratorie, e cerebrovascolari.
Di questi, considerando solo i quartieri Tamburi e Borgo, i più vicini alla zona industriale:
- un totale di 637 morti, in media 91 morti all’anno, è attribuibile ai superamenti dei limiti di PM10;
- un totale di 4536 ricoveri, una media di 648 ricoveri all’anno, solo per malattie cardiache e malattie respiratorie, sempre attribuibili ai suddetti superamenti.
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