Sapevate che a Ragusa c’è stato “Barocco e Neobarocco”? E’ il festival “cotto e mangiato” a Milano

Sapevate che a Ragusa c’è stato un festival sul barocco e neobarocco?

No, non vi siete persi una locandina o una diretta social andata virale. È solo che il Festival Barocco e Neobarocco si è svolto (di nuovo) a Ragusa… dal 18 al 22 giugno senza che Ragusa quasi se ne accorgesse.

Sì, davvero: per la quinta volta, Ragusa ha ospitato il Festival Barocco & Neobarocco – Design Festival. Un titolo altisonante, un programma ricco, nomi importanti, location suggestive. Eppure, anche quest’anno, la domanda sorge spontanea: quanti ragusani sapevano che il festival esisteva davvero? In quanti l’hanno visitato e frequentato? Quanti lo hanno realmente vissuto?

L’evento, curato da Roberto Semprini – architetto, docente all’Accademia di Brera e ormai “di casa” a Ragusa – si è svolto dal 18 al 22 giugno, con mostre visitabili fino al 29 giugno, in alcuni dei palazzi più belli di Ibla: Palazzo Nicastro, Palazzo Cosentini, Palazzo La Rocca, oltre all’ex chiesa di San Vincenzo Ferreri. Il tema di questa edizione era “Rinascita. Architettura e urbanistica nei centri storici”, ispirato al progetto di ricostruzione del Val di Noto dopo il terremoto del 1693.

Un argomento affascinante, centrato sulla nostra identità barocca. E anche ben articolato: tra installazioni, mostre, dibattiti, performance, la qualità non mancava. Sono arrivati nomi noti dell’architettura e del design, da Byoung Cho (direttamente dalla Biennale di Seul) a Carlo Piano (figlio di Renzo Piano), da Gilda Bojardi ad Alfonso Femia, fino a Giampaolo Nuvolati, sociologo dell’Università di Milano-Bicocca. E tra gli artisti, anche un talento ragusano: l’architetto Gaetano Manganello, autore di una delle installazioni più interessanti, su cui torneremo con un approfondimento.

Insomma, il festival sulla carta è eccellente. Ma nella pratica? Praticamente quasi invisibile.

La verità è che, purtroppo, questo festival continua a essere pensato e diciamo “cotto e mangiato” a Milano e semplicemente “impiantato” a Ragusa. Un’operazione culturale di grande profilo, ma completamente scollata dalla realtà territoriale. Senza un coinvolgimento autentico della città, senza il minimo tentativo di costruire un dialogo con le associazioni locali, con i cittadini, con le scuole, con chi vive davvero Ragusa. E soprattutto, senza una promozione efficace.

È un peccato, perché il contenuto merita. Ma la sensazione è che questo festival si organizzi per se stesso, in una bolla autoreferenziale, più attenta al curriculum che al contesto. Con tanto di passerella di politici locali a cui si è tirata la giacchetta per ottenere contributi.

E così succede che le installazioni – anche quando sono giganti, come quelle piazzate in piazza San Giovanni – passino completamente inosservate. Anche perché, come lo scorso anno, il festival ha scelto di “invadere” spazi già occupati da altri eventi cittadini. Proprio in quei giorni, in quella piazza, c’era anche il festival letterario “A Tutto Volume”, uno degli appuntamenti più riusciti e partecipati della stagione culturale. Risultato? Confusione, sovrapposizione, e la percezione che si stia cercando di “appoggiarsi” alla visibilità degli altri, invece di costruire una propria.

E questo non è solo poco corretto, è anche controproducente. Perché in questo modo si sottrae spazio a chi riesce davvero a coinvolgere la città, e si alimenta la percezione – fondata – di un’élite culturale che arriva, espone… e poi sparisce, lasciando dietro di sé solo qualche totem pubblicitario da rimuovere (quando va bene, entro un mese). Lo scorso anno, ad esempio, i totem sono rimasti praticamente abbandonati in città fino a quando qualcuno ha ricontattato l’organizzazione.

E non è tutto. Una delle contraddizioni più eclatanti è l’assenza del tessuto cittadino in un festival che dovrebbe parlare di città, di urbanistica, di centri storici, di futuro. Si, qualche convegno con decine di persone, qualche incontro con un po’ di iscritti all’ordine degli architetti, ma se non si ascolta chi quei luoghi li vive ogni giorno, se non si dialoga con chi ci lavora, li racconta, li conserva, li trasforma… a chi si rivolge davvero questo festival?

Alcune “marchette” poi lasciano un retrogusto amaro: tra i relatori figurano anche nomi legati a sponsor attivi nel settore delle ristrutturazioni. Nulla di male, per carità: ma quando la programmazione sembra cucita addosso senzauna visione collettiva, il rischio di perdere credibilità è dietro l’angolo.

Un consiglio, non richiesto? Lo diamo ugualmente. Se questo festival vuole diventare davvero rilevante anche in ambito locale, e non solo (è già cosa positiva) sulle riviste nazionali di architettura e lifestyle, deve uscire dalla logica della vetrina e aprire un dialogo vero con la città. Servono scelte più condivise, più intelligenti. Serve ascolto. Serve promozione maggiore. Serve la voglia – vera – di coinvolgere i ragusani, non solo di “usare” Ragusa come scenografia per un curriculum milanese. E magari essere anche più social. La pagina facebook è ferma praticamente allo scorso anno, per fortuna c’è qualcosa su intagram.

Perché non basta piantare opere d’arte in una piazza per fare cultura. Bisogna costruire relazioni, generare identità, dare voce al territorio. Altrimenti, anche il barocco più bello resta solo una facciata. E nemmeno neobarocca. foto tratta da instagram

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it