RICOMINCIAMO A MANIFESTARE

 Sono i primi di Ottobre, la giornata regala un sole straordinario, non la solita pioggia che squarcia il cielo di Genova e invece del rombo delle macchine sulla sopraelevata e sulla trafficatissima via Gramsci, si levano cori di studenti.

La manifestazione è piccola, ci sono solo studenti medi e saranno poco più di 500 ragazzi.

Guardarli avanzare con le bandiere e gli striscioni in mano tocca anche la più frigida delle emotività.

Si, perché a manifestare, a gridare il diritto allo studio che sempre più voracemente lo Stato ci leva, dovremmo essere tutti. Non è una discussione chiusa agli studenti, dovrebbe piuttosto sollevare i moniti dei tanti padri e delle madri che non possono più permettersi di pagare le rette, di tutti quei ragazzi che placidamente assistono alle barbarie che si compiono contro scuola e università.

Il principio è semplice: come può mai crescere, e affermarsi in termini di competitività, uno Stato che non investe sulla ricerca, sull’istruzione e sull’accrescimento culturale del suo popolo? Come si può chiedere di assolvere alla frequentazione della, così detta, “scuola dell’obbligo”, se non ci si può permettere di acquistare 600 euro di libri scolastici?

Seppur si tratti di un deperimento che investe le istituzioni scolastiche tutte, dalla Sicilia al Trentino Alto Adige, seppur siano state le riforme nazionali a troncare le gambe alla crescita della scuola e dell’università, a cominciare dalla riforma Zecchino, continuando con quella delle ex ministra Moratti e concludendo con la tanto contestata Mariastella Gelmini, non si può non prendere atto che, a scanso di ogni possibile e contrario auspicio, al sud la situazione risulta più grave. La regione non finanzia l’Università e questa, a sua volta, non ha soldi per elargire borse di studio, case dello studente, servizi mensa e quant’altro ne consegue.

Sono ormai due anni che ho terminato i miei studi a Catania, ma chiedendo a colleghi che ancora sono li, la situazione non pare cambiata: le fasce di reddito su cui si conteggia il pagamento della seconda e terza tassa sono poche e se hai la fortuna, o sfortuna, di rientrare nella più bassa, la borsa di studio che ti spetta è un risarcimento irrisorio di poche centinaia di euro, che non coprono neanche la tassa di iscrizione.

Nel frattempo, diminuiscono gli importi delle borse, ma aumentano quelli delle tasse.

Insomma, il diritto allo studio torna a essere appannaggio della classe benestante e borghese, e anche questa si riduce progressivamente per gli infausti effetti della crisi economica.

Da Roma in su, invece, seppur non si possa parlare di una condizione idilliaca, quantomeno le regioni offrono la possibilità di beneficiare di borse di studio che, se non altro, consentono di ammortizzare i costi.

Al contrario di quanto accade nelle regioni del sud Italia, a Genova, per esempio, se rientri in una fascia reddituale bassa, ci sono più possibilità che ti venga assegnato lo studentato, risparmiando quindi i soldi di un affitto, il servizio mensa è gratuito e, sempre a seconda del reddito, può essere previsto di non pagare alcuna tassa, neanche quella iniziale di iscrizione.

La rabbia, comunque, ribolle. L’amarezza di essere costretti a “espatriare” per potersi permettere di studiare non colma la riconoscenza dell’opportunità offerta dalla regione Liguria.

Le domande sorgono spontanee: se la regione Sicilia non ha soldi per finanziare le sue Università, dove trova, invece, le somme necessarie per pagare gli indennizzi per nascite, funerali e matrimoni dei suoi assessori? Anche se sono in pensione e anche rispetto ad altri membri del nucleo familiare.  Dove trova i compensi per elargire indennità pari a 150 euro per l’uso dei computer? Che poi ci spieghino cosa voglia dire “indennità per l’uso dei computer”!

Dove trova migliaia euro mensili per sovvenzionare gli affitti di prefetti e politici?

 

 

 

 

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