RENZI E QUANDO LE COSE ERANO CHIARE

 

Non abbiamo una simpatia incondizionata per Renzi. E’ bene dirlo subito, a scanso di equivoci. Il che non significa che ci stia antipatico. Più semplicemente potremmo dire che ci sembra un personaggio sopravvalutato. Che gode, probabilmente, della rendita che gli viene dal fatto di essere giovane e sindaco di una delle più famose città del mondo. Per il resto, gli sentiamo dire cose sagge, cose banali, cose inesatte (dal nostro punto di vista) e così via discorrendo: dunque un esempio di assoluta “normalità” politica.

E tuttavia ne parliamo. Perché un suo tema, molto presente nelle sue uscite televisive, ci sembra particolarmente interessante.

L’intercettazione dei voti di coloro i quali sono scontenti del centro-destra, questo pare essere l’elemento distintivo che ha opposto Renzi, anche e soprattutto durante le primarie, a Bersani e alla segreteria tutta del PD. La possibilità di vincere le elezioni raccogliendo consenso anche in un’area elettorale tradizionalmente sensibile ai richiami del populismo berlusconiano. La possibilità, cioè, di spostare indefinitamente l’equilibrio delle forze in campo, attraverso l’offerta, a quell’elettorato, di un contenitore adeguato a raccogliere il suo malcontento.

Ora, sembra abbastanza evidente che una tale strategia rischi di rimanere una mera tattica elettorale se non si traduce in un processo di sostanziale cambiamento del linguaggio e dei contenuti valoriali, espressi fino all’ultima tornata elettorale dal PD in quella che è parsa una coesa, unitaria linea della segreteria Bersani. E qualcosa Renzi ha fatto in questa direzione: ammiccando a destra, proponendo un’immagine rassicurante di sé, flirtando con Marchionne, cenando ad Arcore e così via di spot in spot.

La pretesa contrapposizione con la linea Bersani, che pure ha vinto le primarie, si è rivelata presto una mera differenza di stile comunicativo e niente di più: in realtà la durezza e purezza dell’indisponibilità verso la destra è sembrata più un motivo di facciata che di sostanza, come le note vicende sui franchi tiratori tenderebbero a dimostrare.

Ragion per cui, la “diversità” di Renzi ha mostrato presto la corda, riducendosi ancora una volta al dato “biografico” (è giovane) e “istituzionale” (ha avuto finora solo il ruolo di sindaco e non ha mai fatto parte degli organismi dirigenziali del partito). La differenza di linguaggio e di contenuti valoriali aspetta ancora di essere vista.

Il punto è: o si propone a quell’elettorato deluso di centro-destra qualcosa che lo riporti dentro una cornice ideale (se non ideologica) di sinistra (assumendo dunque che questa sia la sua collocazione vera, naturale, distolta solo dalle capacità imbonitrici di Berlusconi), oppure si adatta, deforma, sfilaccia la natura del partito al fine di far salire dentro anche coloro che aderiscono a una cultura politica totalmente aliena.

Alla fine, abbiamo assistito a qualcosa che ci sembra più in linea con la seconda opzione, anche se rimane da chiedersi se esiste una “natura”, un’anima una del PD o se invece non sia nella sua “natura” quella di essere un contenitore per tutte le materie!

Della prima opzione non vediamo segno alcuno.

Questo è probabilmente il motivo per cui Renzi non ci entusiasma: dice a voce alta ciò che nel resto del partito si pensa sommessamente e si pratica ancora più segretamente.

Un tempo le cose erano chiare: l’elettorato coincideva quasi del tutto con i principi, i linguaggi, i valori del partito di riferimento. La sua composizione “sociologica” era cioè un fatto abbastanza coerente, che determinava una chiara composizione del corpo elettorale. Ognuno aveva i suoi. E difatti per 40 e più anni la sinistra è stata messa nell’angolo.

Crediamo – forse romanticamente – che dall’angolo esce se si propone per ciò che è. L’alternativa a questo è arrivare a governare avendo però nel frattempo totalmente azzerato la differenza che conta con gli avversari.

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