RELIGIONE E SCIENZA

Antipodi, il tema del mese, tradotto in siciliano: u riaulu e l’acqua santa! Religione e scienza sono state, per secoli, come il diavolo e l’acqua santa.

La questione ha inizio con la disputa tra Galileo Galilei (1564-1642) e gli Emin.mi e Rev.mi Cardinali: è al centro il sole o la terra? A questi Galileo si piega con la storica abiura: «Io Galileo Galilei, sospetto d’eresia, per aver tenuto e creduto che il Sole sia centro del mondo e immobile e che la Terra non sia centro e che si muova, inginocchiato avanti a voi Emin.mi e Rev.mi Cardinali, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto il suddetto errore».   

Ma perché per gli Emin.mi e Rev.mi Cardinali è così importante che sia la terra a star ferma e il sole a muoversi? Ottusità di un pensiero retrogrado oppure grande lucidità nell’affermare il principio per cui non può essere data altra verità se non quella e solo quella elaborata dagli Emin.mi e Rev.mi Cardinali in nome e per conto di Dio?

La grave colpa di Galileo non è tanto nell’affermare una cosa che, a partire da Copernico (Nikolaj Kopernik, 1473-1543), era già nota, accettata e diffusa negli esclusivi e ristretti ambienti culturali dell’epoca, quanto la sua pretesa di utilizzare la grande e capillare organizzazione della Chiesa per diffondere, nell’italiano volgare, le teorie copernicane e, peccato ancor più grave e imperdonabile, di voler avviare il popolo al metodo scientifico ovvero al “guardar verso il cielo” con i propri occhi e con il proprio intelletto. Per questo è processato e rischia di essere torturato e di finire sul rogo.

Galileo sa di avere ragione, sa di avere Dio dalla sua parte e sa che, prima o poi, la verità si afferma. In una Lettera a Cristina di Lorena, riferendosi all’opera di Copernico, si esprime così: «Se per rimuover dal mondo questa opinione e dottrina bastasse il serrar la bocca ad uno solo, come forse si persuadono quelli che, misurando i giudizi degli altri co ‘l lor proprio, gli par impossibile che tal opinione abbia a poter sussistere e trovar seguaci, questo sarebbe facilissimo a farsi: ma il negozio cammina altramente; perché, per eseguire una tal determinazione, sarebbe necessario proibir non solo il libro del Copernico e gli scritti degli altri autori che seguono l’istessa dottrina, ma bisognerebbe interdire tutta la scienza d’astronomia intiera, e più, vietar a gli uomini guardar verso il cielo».

Così Galileo, con grande coraggio e saggezza, decide di non sacrificare inutilmente la sua vita. Il grande poeta e drammaturgo tedesco Bertolt Brecht (1989-1956) gli dedica un bellissimo dramma dal titolo Vita di Galileo in cui Andrea, l’allievo prediletto, appresa la notizia dell’abiura, deluso e schifato, lo insulta pesantemente e dice: «Sventurata la terra che non ha eroi!». Gli risponde Galileo: «No. Sventurata la terra che ha bisogno di eroi!»

Dopo l’abiura vive a Firenze sotto stretta sorveglianza delle autorità ecclesiastiche. Agli arresti domiciliari diremmo oggi. In questo periodo, libero dalla necessità di procurarsi da vivere, si dedica esclusivamente ai suoi studi ed elabora la parte più importante della sua opera che, sebbene quasi cieco, al lume di candela, raccoglie nel testo “I discorsi su due nuove scienze: la meccanica e la caduta dei gravi”, pubblicati in Olanda nel 1638.

Galileo è Galileo non per il cannocchiale che non ha inventato né per la teoria copernicana che appunto è di Copernico e non sua, ma per avere elaborato il metodo scientifico ovvero quel nuovo modo originale di rapportarsi alla conoscenza che ha dato inizio alla scienza in senso moderno. Se avesse scelto di “fare l’eroe” annovereremmo un altro martire scarsamente ricordato come Giordano Bruno (1548-1600) e tanti altri e l’epoca scientifica avrebbe conosciuto un sicuro ritardo.

Galileo non impara dai libri, impara dalla realtà. Fa rotolare una palla su un piano inclinato e vede che la sua velocità, a scendere aumenta e a salire diminuisce ovvero a scendere ha una accelerazione positiva e a salire ha una accelerazione negativa. E su un piano orizzontale che succede? La risposta, per Galileo, è ovvia: l’accelerazione non può che essere zero ed enuncia il primo principio della dinamica con queste parole: Il mio intelletto concepisce un mobile spinto su un piano orizzontale senza nessun ostacolo al suo moto: è evidente che questo si manterrà costante e non cesserà, se il piano si estende all’infinito”.

A raccontarlo ora, sembra una cosa da niente, eppure nessuno, per duemila anni, osò confutare Aristotele (384-322 a.C.) che sosteneva cosa diversa. Non solo, ma è cosa importante assai nello studio del movimento e, assieme alle leggi di Giovanni Keplero (Johann Kepler 1571-1630) sul moto dei pianeti attorno al sole, costituisce la base su cui Isacc Newton (1642-1727) sviluppa la dinamica ovvero la parte più importante della fisica.

Sottolineo che Galileo non dice “è così” ma “il mio intelletto concepisce” come volesse dire “quello che vi sto dicendo è quanto il mio intelletto ha concepito a seguito del mio modo di lavorare e potrebbe anche non corrispondere a ciò che realmente avviene, ed in ogni caso metto a disposizione i miei metodi di ricerca perché ciascuno possa verificare da se stesso quanto da me affermato ed eventualmente anche contraddirmi”.    

Mi viene in mente la frase “parola di Dio” pronunciata dal prete dopo la lettura delle sacre scritture. Dinanzi alla “parola di Dio” cos’altro si può fare se non assentire e tacere? Poi magari si viene a scoprire che, a partire dalla stessa parola dello stesso Dio, due credenti si riferiscono a interpretazioni diverse se non anche contrapposte, ma l’invito perentorio di entrambi è assenso e silenzio. Dinanzi, invece, alla parola di Galileo, dello scienziato in genere, si può verificare assentire dissentire andare più avanti. C’è una bella differenza tra il modo di comportarsi dello scienziato e del prete! Sono entrambi uomini. Uno dice “parola mia”. L’altro dice “parola di Dio”.

Con ciò non voglio assolutamente offendere o denigrare chi crede e ha fede nella “parola di Dio”. Tutti sentiamo il bisogno di teorie, leggi, principi che ci diano una qualche spiegazione del perché esiste la stirpe umana e tutto quel po’ po’ di roba che ci sta intorno. Libero ognuno di scegliere le parole che più lo rassicurano! Voglio semplicemente mettere in evidenza due atteggiamenti diametralmente opposti e presenti entrambi sia nel mondo scientifico sia in quello religioso: l’uno tende a stimolare la critica e la ricerca; l’altro a serrare la bocca e il pensiero.

Nel mondo laico l’equivalente di “parola di Dio” è la locuzione “Ipse dixit” (l’ha detto Lui, il Maestro). Siccome l’ha detto Aristotele si può solo assentire e tacere e per duemila anni, fino a Galileo, si sono imbrigliate le menti inibendo la ricerca di spiegazioni nuove e discordanti da quelle date dal Maestro. Oggi, nonostante Galileo, nonostante la modernità, i portenti della tecnologia e una istruzione diffusa, c’è chi si accontenta di meno, di molto meno: “l’ha detto la Televisione”.

A causa delle due locuzioni, “parola di Dio” e “Ipse dixit”, conseguenze della pretesa di affermare verità assolute e inconfutabili, religione e scienza sono state per secoli come il diavolo e l’acqua santa.

La scienza, a partire dal ventesimo secolo, ha rinunciato a tale pretesa avendo gli scienziati capito che la realtà è talmente complessa che, più si va avanti nella conoscenza, e più si scopre d’essere ignoranti.

Anche la religione, a  partire dal Concilio Vaticano Secondo e con Papa Francesco, ha rinunciato alla pretesa di essere depositaria di verità assolute e inconfutabili.

Possiamo allora, con speranza, aspettarci che religione e scienza camminino insieme verso un futuro con meno sofferenze che, se ci pensate, è la cosa più importante che ci sia.

Ragusa, 7 febbraio 2017

                                                                                          Ciccio Schembari

 

Articolo pubblicato sul n. 138/2017 “Antipodi” della rivista on line www.operaincerta.it

 

 

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