QUANDO IL NUCLEARE DIVENTA D’OBBLIGO

Che il nucleare sia un problema, e non una soluzione, è l’incipit del discorso con cui  Vincenzo Balzani, professore ordinario di Chimica generale dell’Università di Bologna, spiega, a un pubblico riunitosi per l’occasione in una libreria del capoluogo emiliano,  i motivi del no al nucleare. Lo dimostra – prosegue – il fatto che nel 2009 in Europa l’energia prodotta da fonte nucleare sia diminuita, a differenza di quella prodotta tramite gas, eolico e fotovoltaico che invece aumenta. Di fatto, a oggi, le nazioni europee chiudono più centrali di quante ne costruiscano.

Che il nucleare sia un investimento economicamente non conveniente è confermato anche dalle valutazioni delle agenzie di rating: quando un’azienda  intraprende la strada del nucleare il suo valore sul mercato azionario diminuisce. Inoltre l’inutilizzabilità del deposito dello Yukka Mountain, rende evidente il fallimento nella risoluzione del problema delle scorie radioattive da parte degli Stati Uniti, il paese che fin ora ha  investito di più in termini di studi e finanziamenti a riguardo.

Sembra dunque chiaro, a sentire parlare un luminare di fama internazionale, che con l’attuale stato di tecnologia, l’opzione nucleare non possa costituire la soluzione al problema energetico ma piuttosto un problema. Nel caso italiano gli aspetti contrari al nucleare aumentano dal momento che l’Italia non dispone dell’uranio, che per esempio la Francia importa dall’ex colonia nigeriana, né della tecnologia, che infatti verrebbe acquistata dalla Francia.

Alla luce di ciò nel 2009 l’Italia compra 4 centrali nucleari dalla Francia e il 19 Aprile scorso, a ridosso del referendum, con un decreto il governo congela tutto, rimandando e lasciando di fatto aperta la strada del nucleare. E’ proprio il caso di domandarsi: a chi conviene il nucleare?

La crisi dell’opzione nucleare in seguito al disastro di Fukushima in Giappone è ormai chiara. Forse la risolutezza, nonché la fretta di Sarkozy relativa all’intervento militare in Libia non è solo una raccolta di voti in vista delle prossime presidenziali: c’è dell’altro.

Due fatti sono certi. Le multinazionali del petrolio e del gas francesi  si sono già assicurate parte dei  giacimenti libici. Total, Eads e Vinci, hanno infatti firmato con il Cnt, il consiglio di nazionale di transizione degli insorti un “memorandum di intesa”. Situazione che invece danneggia l’Eni, che ha già subito una perdita di produzione importante, visto l’embargo sui territori ancora in possesso di Gheddafi.

Inoltre anche per le multinazionali del nucleare, i disordini in Libia, sono fonte di giovamento dal momento che l’ aumento dei prezzi petroliferi, dovuta alla “guerra umanitaria”, rendono l’opzione nucleare ancora “valida” sul mercato. Una validità che, di certo, poco ha a che fare con l’efficienza energetica.

                                                                                                                                                                         

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