È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
PURIFICAZIONE
21 Mar 2013 14:10
Il titolo di una delle opere più intense, seminali della storia del jazz (e della musica tout-court) è Transition, del grande John Coltrane. L’album uscì postumo nel ’70, dunque tre anni dopo la morte del sassofonista di Hamlet. Quando la Impulse propose questi nastri, la sensazione fu quella di aver trovato l’anello mancante dell’evoluzione della poetica coltraniana: fra le opere immediatamente precedenti, che sviluppavano in chiave modale un repertorio spesso estratto dagli standards e quelle successive, che portavano a compimento l’adesione al free. In mezzo sembrava esserci solo l’inno elegiaco di A Love Supreme, con la sua musica composta, intensa ma melodica. Fino alla comparsa di quelle registrazioni, che molto argutamente i discografici intitolarono appunto alla transizione, che tuttavia è anche e soprattutto l’esplosione della tensione mistica di Coltrane, proteso in una sorta di viaggio ascensionale (completato dal successivo Ascension) dalla terra al cielo, dalla carne all’anima, dall’uno al tutto. La musica che ne derivò è semplicemente esplosiva: il brano che dà il titolo all’album è una progressione costante, feroce, sublime, di una tensione a tratti insostenibile, in cui si miscelano elaborazioni modali al limite dell’atonale e una scansione regolare ma furiosamente poliritmica. Una ricerca di purificazione attraverso la musica: una transizione (dolorosa e sfibrante) prima dell’ascesa dell’anima.
Percorsi terreni di redenzione e di purificazione del mondo brulicante della metropoli sono invece quelli che muovono Travis Bickle nel pessimistico (e cattolicissimo) Taxi Driver di Martin Scorsese. La maschera inquietante di Bob De Niro scandisce una storia di emarginazione e riscatto con le movenze di un perdente che annuncia il suo destino già dai primi piani iniziali, con quella traboccante mistura di sperduta tenerezza e angosciata violenza che esprimono. Il riscatto e la purificazione attraverso l’ultimo bagno di sangue è un’idea molto americana e insieme molto romantica della dialettica fra bene e male: l’intensità e il crescendo drammatico qui servono a ribadire il concetto dell’ineluttabilità del dolore e della violenza, quasi come valore fondante della stessa società (concetti molto frequentati dal cinema di Scorsese, come in Goodfellas e in Gangs of New York o come nello stesso L’età dell’innocenza).
Un giovane autore italiano, Eraldo Baldini, costruisce un noir claustrofobico, attraversato da fitte trame di mistero, in un contesto in cui solo la natura e la dolorosa apprensione della memoria sembrano avere il potere purificante di acquietare l’anima e di sanarne le ferite della guerra. La perfetta, asciutta ambientazione della storia fa da sfondo alla vicenda di quattro reduci della grande guerra, alle prese con inquietanti pericoli o solo con i fantasmi del loro passato. Un viaggio teso, un linguaggio duro, secco a rappresentare il brulichio del male che si annida nell’anima e aspetta di essere detto, spiegato, compreso, rivissuto, per poter essere vinto.
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