Psicoanalisi di un Piano Regolatore: una Ragusa da sogno.

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola.

Mi illuminai d’intenso. Alcune parole del sindaco Cassì (e dei tecnici) mi hanno teletrasportato nel metaverso del mio divano serale. Nel quale solitamente coltivo i miei sogni dopo una cena micidiale e due gocce di lemoncello satanico. E soprattutto mi hanno ricordato le quattro cose che so di psicologia ambientale intorno al legame tra urbanistica e benessere psicologico. 

Ieri infatti ho sbirciato il video della presentazione alla Camera di Commercio del Piano Regolatore Generale. I had a drink. Certi passaggi, certe espressioni ti svoltano il meriggio autunnale che hai dentro.   

Eccole. La rigenerazione urbana, la riqualificazione delle aree degradate, la ricucitura di aree della città, la qualità degli spazi pubblici, la creazione delle infrastrutture verdi, lo sviluppo della mobilità dolce, l’articolazione e il potenziamento dei corridoi ciclopedonali, il recupero dei vuoti urbani, lo stop al consumo di suolo, la nascita della metroferrovia, la strutturazione di nuovi spazi di socialità in centro, le innovazioni che vogliono superare le criticità.

Estasi. I had a drink. Ho apprezzato. Ci credo. E voglio sognare per la mia città. 

Le polemiche in calce non mancano. Dicono tutto e il suo contrario. Il Prg sarebbe frettoloso, ma anche in colpevole ritardo, non blocca abbastanza l’espansione, ma la blocca troppo, è stato deciso in solitudine, ma è figlio di una concertazione. Sembrano le reazioni sempre legittime, talora ragionevoli e talora strumentali dei primi mesi di una gravidanza isterica: la campagna elettorale. È il gioco delle parti nella comunicazione psicologica. Ci sta. Sappiamo tuttavia che il Piano viene approvato comunque dal Consiglio Comunale.

Perché mai il tema urbanistico agita i dibattiti politici della cittadinanza? Progettare e costruire senza rispettare i molteplici risvolti psicologici deve essere considerato a tutti gli effetti un danno e un “crimine” nei confronti della persona umana, solo in apparenza ineffabile. Scegliere di cambiare nel profondo il volto di una città è come imporre i colori della stanza a un bambino. Nella sua notte di mamme, giochi e sogni eterni. 

L’architettura disegna e arreda il nostro contest interiore, la location intestina, ispira il nostro inconscio sentire mediante lo schizzare delle forme, il risuonare dei colori e delle armonie dei luoghi da cui siamo abitati e contaminati. Gli infiniti posti che noi siamo parlano alla nostra mente e al nostro corpo. Lo spazio è anche psichico. 

Che malinconie, a volte! Le declinazioni dell’ambiente, trascurate, rese sovente anonime, insicure e per nulla stimolanti per i contatti umani e per il gioco dei bambini o le attività socio-ricreative dei giovani (esuli a volte nelle loro stanze digitali e opache d’accidia).

Io invece voglio credere in questo Piano Regolatore un po’ sognatore. Amo questo Piano Sognatore Generale. Accendere un sogno è più facile in un giardino di vie e piazze e quartieri che sanno già il gioco della vita.

E questa è la direzione. Garantire anche l’assenza di barriere architettoniche per le persone con disabilità motorie, contrastare la disuguaglianza delle periferie, generare l’estetica della fruibilità, nella consapevolezza che ogni forma e proporzione determina risonanze precise sugli stati mentali. Perché gli spazi raccontano storie. E le storie ispirano mondi.

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it