PROGETTO OFFSHORE IBLEO NEL CANALE DI SICILIA

Greenpeace ha pubblicato un documento  in cui denuncia la troppa “leggerezza” con la quale il Ministero dell’Ambiente ha concluso la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (D.M. VIA n. 149/14) sancendo la compatibilità ambientale delle attività estrattive di idrocarburi offshore nel Canale di Sicilia nell’ambito del progetto denominato OFFSHORE IBLEO presentato dalla Società ENI SpA.

Si  tratta di due perforazioni “esplorative” Centauro 1 e Gemini 1 (a circa 25 e 28 km di distanza dalla costa) e sei pozzi di produzione commerciale (c.d. coltivazione) Argo 2 e Cassiopea 1- 5 a circa 20 km dalla costa della provincia di Agrigento.

Sono previsti inoltre una serie di sealines (oleodotti) che si collegheranno alla Prezioso K, la nuova piattaforma che nascerà a 10 km dalla costa e che andrà ad affiancare l’esistente Prezioso, e un    collettore degli oleodotti (PLEM: pipeline end manifold) che sorgerà a meno di 7 km.

È prevista anche la costruzione di infrastrutture a terra (onshore) situata a circa 5 km dal centro di Gela, incredibilmente ricadente nelle Zone a Protezione Speciale (ZPS) di “Torre Manfria, Biviere e Piana di Gela” e tutto altresì nei pressi del SIC  “Biviere e Macconi di Gela”, Sito di Interesse Comunitario che include una Important Bird Area, la IBA n. 166 “Biviere e Piana di Gela”, una delle zone umide più importanti, riconosciuta dalla Convenzione Internazionale di Ramsar e “porta d’Europa” per l’avifauna migratoria.

 

Rischi per la pesca.

Per Greenpeace, i rischi del progetto Offshore Ibleo risultano sottostimati e sottovalutati dallo Studio di Impatto Ambientale (SIA) presentato dall’ENI  e dal Ministero il quale, nonostante abbia rilasciato i permessi, mostra più volte perplessità e dubbi.

«Il testo della prescrizione sembra sia stato redatto con la certezza che in ogni caso una seria valutazione degli impatti sulla pesca non possa comportare un arresto del progetto (tra pesca e petrolio non c’è gara…). Al massimo, si potrà prevedere una qualche compensazione economica agli operatori che sarebbero “colpiti” dalle attività in questione».

«Ancora più preoccupante è che non viene considerato, commentato e valutato, il possibile impatto sulle risorse ittiche, nonostante l’area in questione sia entro, o prossima, a una serie di habitat cruciali per le risorse ittiche del Canale di Sicilia»: infatti, nel ‘Piano di gestione per la pesca’, le aree delle zone costiere da Sciacca a Licata e il Golfo di Gela sono identificate quali aree di estrema importanza economica ed ecologica per la riproduzione di specie pelagiche quali acciughe, sardine e triglie (Mullus barbatus) e specie demersali (gamberi, naselli ecc…).

«È evidente che un incidente in quest’area potrebbe avere effetti non sui singoli pescherecci che operano abitualmente al largo di Licata ma su una parte notevole della flotta peschereccia siciliana». Che l’argomento sia stato trattato superficialmente si evince dalla prescrizione (la A.9) ad ENI di dover concordare con l’ ISPRA  “… un piano di monitoraggio degli effetti prodotti sull’ambiente marino… con particolare riguardo alle eventuali alterazioni a carico delle comunità bentoniche ed ittiche, e le eventuali ripercussioni sulle attività di pesca”.

 

Rischio geologico.

«Il Decreto VIA n. 149/14 ci conferma che esistono minacce relative a frane, erosione e subsidenza che devono ancora essere oggetto di indagini ovvero hanno bisogno di un continuo monitoraggio (in un caso, anche dopo 27 anni dalla fine delle estrazioni di petrolio!)».

 

Rischio ambientale.

Tramite una serie di prescrizioni, il Ministero manifesta forti perplessità su numerosi punti che risultano trattati marginalmente o per niente dall’ENI: ad esempio il monitoraggio e l’entità riguardante la mobilitazione dei sedimenti nell’ambiente marino durante le fasi di scavo, oppure relative all’impatto del rumore per realizzare le opere che disturberebbe le rotte seguite dai cetacei nel Canale di Sicilia, di sicuro quello «… maggiormente impattante sui mammiferi marini». Che il progetto ENI abbia parecchie lacune è confermato anche dalle numerose prescrizioni inerenti lo smaltimento dei rifiuti solidi e liquidi e delle emissioni nell’acqua e nell’aria di Ossigeno (O2), vapore d’acqua (H2O), ossidi di azoto (NOx) e monossido di carbonio (CO) oli minerali, arsenico, cadmio, cromo, mercurio, nichel, piombo sversati in mare; nessuna certezza sui controlli, sulle quantità che verrebbero rilasciate e sul report dei dati!

Continua Greenpeace: «L’inquietudine aumenta quando si arriva a parlare seriamente del “rischio incidente rilevante” (…) In  “I vizi di ENI” avevamo rilevato che tali rischi erano completamente ignorati. Allora, intervistati da Il Fatto Quotidiano  da ENI affermarono “escludiamo la possibilità che si verifichino incidenti rilevanti”. Peccato che dopo pochi giorni sia affondata (al confine tra Congo e Angola) la Piattaforma esplorativa di  SAIPEM (controllata da ENI) “Perro Negro 6” (…) Domanda: sono affidabili questi impegni e, in generale, i sistemi di “gestione ambientale” di ENI? La piattaforma SAIPEM Scarabeo 8, il 4 settembre 2012 nel Mare di Barents ebbe un incidente a seguito del quale un’inchiesta dell’ Autorità di controllo norvegese (Petroleum Safety Authority) (…) Abbiamo in Italia una Autorità indipendente equivalente alla PSA norvegese?

No, non ce l’abbiamo».

«Al progetto Offshore Ibleo è stata sancita compatibilità ambientale anche se siamo in attesa (prescrizione A.17) che sia “predisposto uno scenario provisionale che quantifichi gli effetti negativi e significativi sull’habitat marino dovuti ad incidente in fase di perforazione del pozzo o coltivazione del giacimento, incendio sulla piattaforma, che valuti l’entità del danno producibile sull’ecosistema, la sua riparabilità, ed individui le misure per mitigare e compensare i danni creati sull’ecosistema e quantifichi i costi per gli interventi”.

I rischi “veri” non li ha valutati nessuno e, per la precisione, nemmeno si sa quali possono essere.

 

Inoltre la faccenda si arricchisce di altri elementi. Sulla base di una accurata relazione dei servizi tecnici dell’Assessorato Territorio e Ambiente (datata 30 giugno 2010), la Regione Sicilia, con la deliberazione giuntale n.263 del 14 luglio 2010, riconfermata il 14 maggio 2013, esprimeva netta contrarietà al progetto: «In una Regione come la Sicilia, per la quale il mare rappresenta una delle attrattive turistiche fondamentali, è ragionevole considerare che l’installazione di numerose piattaforme off-shore, con il conseguente impatto paesaggistico sull’orizzonte marino e le potenziali ricadute in termini di inquinamento da fuoriuscite di petrolio porterebbero benefici praticamente nulli per la collettività e per il comparto dell’industria della pesca e del terziario turistico avanzato, mentre altissimi potrebbero risultare i potenziali costi relativi alla sostenibilità ambientale ed economica».

«Com’è stato possibile che la Regione Siciliana in un anno sia passata dalla totale contrarietà alle trivellazioni in mare all’aperto sostegno di questi progetti?»

(fonte Greepeace. Offshore ibleo, come autorizzare le trivelle nel mare siciliano senza valutare i rischi ambientali e gli impatti socio-economici)

 

                                                              

 

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