PRIMARIO SULLA PAROLA

Sono primario. Provinciale. Unico e solo in tutta la realtà ospedaliera. Spetta a me dirigere, comandare, ordinare, disporre il servizio, trasferire, promuovere, rimuovere, punire, elogiare. Sono il grande capo. Il primario. Che, come a me risulta, e a tutti voi deve risultare, è un grande comandante. Ed io tale sono. Un uomo solo al comando. Come un certo Schettino, di nome Francesco, aggiungiamo noi. Che oggi è agli arresti domiciliari. In attesa che la magistratura valuti atti, azioni, omissioni, comportamenti e prevaricazioni. Di cui è chiamato a rendere conto e ragione alla collettività. In nome del popolo italiano. Della comunità nazionale di questo nostro paese, bello e martoriato da arroganza, supponenza, delirio di onnipotenza. In temporalesco contrasto con i requisiti veri di un “capo” che sono serietà, umiltà, carisma, preparazione professionale, merito, incontestabili e universali attestazioni di fiducia e stima da parte di tutti. Primus inter pares tra colleghi. Guida sicura. Mille miglia lontano da atteggiamenti spocchiosi e urtanti. Alto, qualificato e rassicurante punto di riferimento per chi si affida alla sua “professionalità”.

Altro che un borioso uomo solo al comando. Preso da sete di potere. Narciso e vanitoso come solo i piccoli uomini di questo nostro ipocrita e autoreferenziale mondo sanno essere. Alla fine si viene pure a scoprire che il tizio, con il tacito lasciapassare di qualche compare, si è praticamente autoproclamato grande capo. Perché agli atti non esiste traccia alcuna di regolare e consolidato atto deliberativo. Primario, dunque, sulla parola. Una specie di millantatore. Che, per quello che ha fatto, sarà chiamato a rispondere del reato di mobbing. Roba da non credere.

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