PERSONAGGI FEMMINILI NELLA LETTERATURA ITALIANA DEL NOVECENTO.

 

La condizione umana, quale appare in gran parte della  Letteratura Italiana del secolo scorso, è caratterizzata dall’assenza del Padre, volendo indicare con questo l’assenza della Fede, della Speranza, della concezione creaturale dell’Uomo.

Credo che i più adatti ad indicare la mancanza di significato della vita umana che domina la cultura del XX secolo siano questi versi di Cesare Pavese, non per nulla morto suicida:

 

Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno

in cui nella accadrà. Non c’è cosa più amara che l’inutilità……

La lentezza dell’ora

è spietata ,per chi non aspetta più nulla.

Val la pena che il sole si levi dal mare

E la lunga giornata cominci?….”

(Lo steddazzu da “Lavorare stanca”)

 

Già con Pirandello è scomparsa ogni certezza, non solo religiosa, ma anche in ordine alla nostra umanità.

Siamo uno, nessuno, centomila,  poveri, piccoli uomini feroci che ci rendiamo reciprocamente la vita impossibile senza sapere perché.

Il personaggio maschile in Pirandello è un debole, un irresoluto, un prigioniero delle convenzioni sociali, l’unico potere che gli rimane è fare soffrire esseri più deboli di lui.

L’assenza di Dio, e quindi della Speranza, nelle pagine degli Autori più famosi del ventesimo secolo non può che restituirci un uomo afflitto dal “male di vivere”(per rubare un’espressione montaliana).

Oltre a Pirandello, alla radice della condizione umana quale è rappresentata dalla narrativa del Novecento abbiamo Italo Svevo. Dal mare africano, su cui si affaccia la campagna di Girgenti, alla Trieste ancora austriaca lo stesso desolato pessimismo respirano il nostro Luigi e quell’ Ettore Schmitz che scelse un nome d’arte più pronunciabile e significativo nel volere indicare le coordinate della sua cultura italiana e mitteleuropea.

Di Italo Svevo mi hanno sempre colpito due pagine de “La coscienza di Zeno”,un romanzo  scritto tra il 1919 e il 1922 ma ancora molto attuale.

La pagina intitolata “ L’ultima sigaretta” che racconta i continui falliti propositi del protagonista di vincere il vizio del fumo, specchio di una condizione umana impastata di debolezza e irresolutezza, e la pagina finale in cui l’Autore intravede profeticamente le catastrofi dei  decenni a venire :

“La vita attuale è inquinata alle radici. L’uomo s’è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l’aria, ha impedito il libero spazio.

……..Forse  traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri,nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa,erreerà nei cieli priva di parassiti e di malattie”

Un’opera di Svevo “Senilità”(1898),ancor più de “La coscienza di Zeno”, mi appare come il romanzo che  ha segnato la narrativa italiana del Novecento.

Non so se è un caso, ma un famoso romanzo di Alberto Moravia, ”La noia” (1960), e un altro di Dino Buzzati, “Un amore” (1963) somigliano moltissimo a “Senilità”.

La trama semplificata al massimo è la seguente:

Un uomo dalla vita squallida e insignificante si innamora di una donna giovane e piuttosto spregiudicata, ne pretende la fedeltà, ma viene messo in scacco dalle sue menzogne, che non si sforza nemmeno di rendere credibili, e soprattutto dalla sua assoluta amoralità e indifferenza ai sentimenti degli altri.

La protagonista de “La noia”di Moravia aggiunge a queste caratteristiche l’incapacità di avere dei problemi, non riesce quasi a pensare, parla poco e con sforzo, non si accorge di ciò che la circonda. E’ un essere istintivo, più animalesco che umano.

Ma se Cecilia, questo è il nome della protagonista del romanzo, è un personaggio femminile così sconcertante, non si salvano le altre donne create dalla fantasia di uno dei romanzieri italiani più famosi .

Nel 1974 due femministe Liliana Caruso e Bibi Tomasi ,in una pubblicazione dal titolo “I Padri della Fallocultura”, analizzavano il personaggio femminile moraviano, arrivando alla conclusione che è sempre una donna poco intelligente, ignorante, gretta, avida, prostituta per vocazione, se borghese, per necessità, se popolana.

Neanche le madri si salvano: sono frivole, egoiste, vanitose. Il passare degli anni le rende patetiche in quel loro desiderio di gareggiare persino con le figlie nella conquista del maschio.(Gli Indifferenti 1929)

A fronte di queste creature abbiamo l’assenza di una figura paterna.

Nelle opere di Moravia il padre o è morto da diversi anni, o è pazzo come ne “Il Conformista” o è un debole.

Il protagonista maschile che puntualmente ritroviamo (in fondo,è stato detto, Moravia ha scritto sempre lo stesso romanzo!)è giovane e qualche volta adolescente, di famiglia borghese, colto, dotato di una lucida, spietata, nevrotica capacità di auto-analisi,.a cui si affianca un’assoluta incapacità di agire, una specie di paralisi completa anche di fronte alle situazioni che chiedono decisioni immediate.

Apatia, indifferenza, incapacità di sentire come reale ciò che li circonda, sono le caratteristiche comuni ai vari Michele (Gli Indifferenti),Mino (La Romana), Marcello (Il Conformista), Dino (La Noia).

Uno di essi dice che ha tradito i suoi compagni di fede politica non per debolezza, ma perché “tutto quanto mi è sembrato assurdo e senza importanza e non ho capito più nulla delle cose in cui avrei dovuto credere.”(La Romana).

 

Nella prefazione al libro della Caruso e della Tomasi, Gabriella Parca, riferendosi, oltre che a Moravia, ad altri famosi narratori italiani,come Brancati, Pavese, Cassola, Patti, scrive:

 “Le protagoniste delle loro opere…..si rifanno ad un unico modello culturale che è appunto il portato di questa nostra cultura maschile, di questa società fatta dagli uomini e per gli uomini in cui la donna è soltanto un’ospite.

Secondo quel modello la donna non vive che in funzione dell’uomo e senza di lui è una nullità ,è meno di zero. Ma anche accanto a lui non brilla quanto a personalità: è debole, passiva, attaccata al denaro e alla tradizione che vive sotto forma di pregiudizi; spesso abbastanza affamata di sesso che, però, strumentalizza e sacrifica sull’altare di una buona sistemazione matrimoniale.

E questa donna è sempre perdente sia che ami e si sacrifichi con una smodata sete di masochismo, sia che si riveli frigida e incapace di quell’Amore con la A Maiuscola che pare sia prerogativa esclusivamente maschile.
Inoltre è quasi sempre ignorante o per lo meno intellettualmente inferiore all’uomo che le è vicino, con un quoziente di intelligenza piuttosto basso, anche se sul piano pratico animalescamente e furbescamente, riesce quasi sempre a cavarsela meglio di lui”

Dove sono finite le appassionate protagoniste romantiche, le dolenti creature verghiane, le altere eroine pirandelliane?

Forse tra tutti i personaggi femminili creati dagli autori del Novecento quello che ha la statura di una vera donna, di un’eroina, è la eduardiana Filumena Marturano , capace di appassionare e commuovere le platee di tutto il mondo.

L’opera, scritta in pochi giorni trae spunto da un fatto di cronaca.

L’Autore non ne aveva previsto il successo, se si pensa che l’aveva preparata solo per supplire ad un eventuale fiasco di “Questi fantasmi”.

Filumena come Antigone, come Medea, contrappone alle leggi scritte dagli uomini, la legge della coscienza e del cuore.

Lei, costretta alla prostituzione dalle disperate condizioni della famiglia, riesce a far vincere il diritto dei suoi figli a nascere ,ad avere un avvenire.

“ E figli so’ figli” le sussurra una voce mentre prega la Madonna di aiutarla a prendere una decisione quando si presenta la prima maternità.

Le ragioni del cuore riusciranno a convincere un uomo come Domenico Soriano, ricco,  egoista, insensibile a sposare Filumena e a dare il suo nome a quei tre giovani dei quali uno (forse, ma quale ?) è figlio suo, gli altri sono figli di “uomini come lui” ,come ha detto Filumena!

Forse a questa figura femminile ha giovato, rispetto alle stereotipate protagoniste della narrativa cui accennavamo prima, la aderenza alla realtà, il partire da un fatto di cronaca, l’ambientazione e la lingua partenopee, la napoletanità ,insomma, e l’interpretazione del personaggio da parte di grandi attrici del nostro teatro e del nostro cinema (Titina De Filippo, Regina Bianchi, Sophia Loren).

 

E’ strano che in un secolo in cui le donne hanno vinto tante battaglie sul piano del riconoscimento dei loro diritti, della loro affermazione nelle professioni liberali, nella magistratura, nella ricerca, nell’arte, domini ancora nella narrativa una visione così maschilista del personaggio femminile.

La cosa stupisce tanto più se si pensa che proprio accanto ai nostri più famosi narratori troviamo delle donne che non sono da meno, anzi…

Moravia è stato il compagno di Elsa Morante e poi di Dacia Maraini, Vitaliano Brancati è stato sposato ad Anna Proclemer,

E’ Gabriella Parca a chiedersi : “Come mai queste donne non appaiono mai nei loro romanzi, oppure sono viste con tanta ironia, con tanta cattiveria da essere irriconoscibili?”

Forse perché le donne che pensano danno fastidio, forse perché si può essere gelosi di un maggiore successo della propria compagna.

A tal proposito è particolarmente significativa la storia dei coniugi Francis e Zelda Scott Fitzgerald, pare che lei fosse più brava e allora lui decise di impadronirsi dei manoscritti di Zelda e di presentarli agli editori come suoi.

Questa sarebbe stata una delle cause della follia della moglie.

 

I narratori che abbiamo citato sinora hanno certamente avuto successo di critica e relativi premi letterari nonché spazio nelle più o meno voluminose storie della Letteratura. Non hanno certamente pubblicato dei best-sellers.

Gli unici best-sellers  della Letteratura Italiana del Novecento, di cui mi ricordi sono “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi Di Lampedusa pubblicato nel 1958, “La Storia” di Elsa Morante, pubblicato nel 1974, “Il nome della rosa” di Umberto Eco, pubblicato nel 1980,e “Va dove ti porta il cuore” di Susanna Tamaro del 1994.

Un discorso a parte meriterebbe il successo dei romanzi e dei racconti di Andrea Camilleri, ma esula dal nostro argomento.

Le prime tre opere che ho citato rompono tutti gli schemi su cui si fonda la produzione letteraria italiana .

Tomasi di Lampedusa è uno sconosciuto aristocratico siciliano con una cultura aperta alle letterature di tutta Europa di cui fa dono solo a pochissimi eletti.

Il romanzo è pubblicato dopo la sua morte da Feltrinelli, mentre uno degli esponenti più accreditati dell’intellighenzia di quegli anni, Elio Vittorini, lo aveva bocciato considerandolo venato di Decadentismo.

Insomma Tomasi ha scritto un romanzo che non aderisce ai canoni estetici allora in voga della sinistra marxista, di cui Vittorini era l’araldo.

Elsa Morante quando pubblica “La Storia” ha già alle spalle romanzi notevoli come “Menzogna e sortilegio” e “L’isola di Arturo”, ma non pubblica da tredici anni e non è mai stata classificabile entro gli schemi della cultura ufficiale.

Ignora il Neorealismo quando è di moda e scrive un’opera di impianto neo-realistico ,la Storia appunto, quando esso è tramontato. In ogni caso non accetta nel suo estremo pessimismo tesi progressiste o consolatorie quali esigevano i canoni dell’estetica neo-realistica post-bellica.

In ogni caso “La Storia” fu oggetto di attacchi molto duri da parte della critica ufficiale.

Umberto Eco non è un narratore  di professione ma un esperto di semiotica e di estetica medioevale che tenta un esperimento, puntando più sulla tecnica che sugli incerti dell’ispirazione e con grande successo.

 Ma le prove degli anni avvenire “Il Pendolo di Focault”,”L’isola del giorno prima “ “Baudolino” “Il cimitero di Praga “ non saranno dei best-sellers.

Quali sono le caratteristiche del  personaggio femminile di questi best-sellers che indubbiamente sono entrati nelle case di molti Italiani soprattutto grazie alle apprezzabili versioni cinematografiche e televisive ?

Umberto Eco ha scritto una storia tutta al maschile ,dato che è ambientata in un monastero di benedettini in cui si trovano rifugiati dei francescani perseguitati e che ospiterà un altro francescano, accompagnato da un novizio e un domenicano con il ruolo di inquisitore. Siamo agli inizi del Trecento.

L’unica donna della storia è una creatura quasi selvatica, strega da bruciare per l’inquisitore, dolce ricordo  dell’unico amplesso della sua esistenza per il novizio.

D’altronde il medioevalista Eco non ha voluto presentarci la sua concezione della donna ma le contraddizioni di una cultura ,quella clericale del Medioevo, che demonizza la donna e nel contempo non può fare a meno di desiderarla.

Il coltissimo aristocratico  siciliano Tomasi di Lampedusa scrive qualcosa che i letterati di mestiere si affannano ad etichettare senza riuscirci.

“Il Gattopardo” non è un romanzo storico, nonostante le apparenze.

La tematica di fondo è esistenziale. E questo dà fastidio alla critica marxista che predilige i temi sociali . Tomasi dissacra il Risorgimento ed esce fuori dal coro quando dice che le bombe dei “Liberators” americani  hanno distrutto il Palazzo della sua famiglia.

Le figure femminili in questo romanzo restano indelebili nel lettore.

I segni della croce della Principessa, la franca e lunga risata di Angelica per la battuta “sconveniente” di Tancredi ,la reazione scandalizzata di Concetta sono entrati nel nostro immaginario come le cifre della psicologia di ciascuno di questi personaggi.

 “La Storia” ha quarant’anni ma mai come oggi è possibile apprezzarne tutta l’attualità.

Essa ci racconta la guerra vista dagli occhi di una donna e dagli occhi di un bambino, madre e figlio entrambi vittime ,sia pure tardive, delle sofferenze, dei disagi, delle violenze patite.

Ida è un personaggio che soffre il peso di una solitudine sconfinata . La guerra la mette accanto a tante altre vittime, ma lei rimane chiusa nella sua angoscia anche nella promiscuità del cinema dove trova rifugio con altri sfollati dopo il bombardamento di San Lorenzo, anche quando per necessità dovrà accomodarsi a vivere sotto lo stesso tetto con persone che sente diverse anche se vittime come lei delle atrocità e delle assurdità della guerra.

La vicenda di Ida Ramundo è vista dalla Morante calandosi nell’interiorità del personaggio. E’ come se noi,leggendo, potessimo vedere le vicende che toccano la protagonista con la sua stessa ottica, identificarci con il suo vissuto.

Il romanzo è ampio, in esso si muovono numerosi personaggi, ma, per restare ai personaggi femminili, rispetto a Ida le altre donne sono come delle coreute in una tragedia greca o come figure di sfondo, popolane dall’animo semplice che affrontano i disastri della guerra e anche le maternità “piovute dal cielo” senza le angosce di Ida.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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