È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
PERPLESSITÀ SULLA GUERRA IN LIBIA
20 Mar 2011 22:27
Sembra che ogni tanto nell’uomo, nell’europeo in particolare, riemergano tristi nostalgie di presunti romanticismi bellici, oltre, ovviamente, ai mai sopiti interessi economici e politici che si possono trarre da una guerra, soprattutto se si è sicuri di poterla vincere.
Quando, appena due mesi fa, è scoppiata la ribellione della dignità in Tunisia, quasi come in un processo di rimozione, gli organismi internazionali non hanno saputo spendere nessuna parola, né di sostegno, né di comprensione, a quella che si è poi delineata come una rivoluzione gloriosa e pacifica.
Così come non hanno saputo dire e far niente le nostre figure rappresentative italiane, ridotte orami da anni a una politica di un’Italia provinciale ed impegnati com’erano, in quei giorni, negli scandali politici di chi non sa ormai come esprimere altrimenti la propria illusione dominante. Fatte, ovviamente, le dovute distinzioni per quei gruppi politici che sanno sempre e solo lagnarsi delle immigrazioni clandestine che vanno aumentando, limitandosi solo ad alzare qualche muretto normativo o di tipo poliziesco facilmente scavalcabile, e non riuscendo ad adottare politiche autentiche di ampio respiro internazionale che possano migliorare le condizioni di vita in Africa, dopo di che nessuno avrebbe più la voglia di mettersi in mare a rischiare la propria vita per venire a importunare i sogni di tranquillità della Lega padana.
Allo stesso modo, nulla hanno detto i partiti che si rifanno ad una tradizione liberale o di sinistra, generalmente sensibili a questi avvenimenti, e che un tempo erano capaci di avanzare e perfino di produrre i processi sociali e politici, e lo facevano sempre in una dimensione internazionale. Alle nostre spalle (non di fronte a noi, alle nostre spalle, perché ahimè, guardiamo troppo al Nord e all’Europa e troppo poco all’Africa), si è consumato un moto rivoluzionario di tipo liberale e democratico paragonabile ai nostri, europei, della seconda metà dell’Ottocento che in Europa e nel mondo forse non è stato ancora ben compreso. Ma i tunisini, fortunatamente per tutti, hanno dimostrato piena capacità di orientarsi in autonomia e maturità civile e politica.
Con Gheddafi, al contrario, sì che bisognava essere un tantino più prudenti. È un capo di Stato completamente diverso dal Ben Alì tunisino o dal Mubarak egiziano, e diverso è l’esercito militare cui fa riferimento. Eppure, in questo caso, tutti si sono spinti con sicurezza per far cadere il rais, compreso il premier italiano che considerava Gheddafi ormai sconfitto. Al contrario, egli ha ripreso in modo sostanziale il controllo di buona parte del territorio e, a quel punto, le potenze occidentali non avrebbero mai potuto interloquire con un Gheddafi ricostituito e, probabilmente, rinforzato. La guerra era ormai una strada obbligata o quasi.
Gheddafi, di certo, non meritava di vincere contro i suoi oppositori interni e non merita di ottenere la reintegrazione sulla sua poltrona, ma la soluzione di un’azione di guerra così determinata in un contesto internazionale d’accordo nella difesa dei civili libici contro le rappresaglie del rais, ma non unito e con dissociazioni forti sui modi e l’entità della strategia militare, è senz’altro da scongiurare e bloccare quanto prima. L’Occidente non può violare l’integrità dei territori nazionali né causare vittime umane, tanto quanto non lo può Gheddafi; non è assolutamente possibile fare una distinzione tra una guerra giusta ed una che non lo sia. In questo senso, il presidente americano Obama ha una responsabilità enorme, in qualità di Premio Nobel per la pace e detentore delle speranze di un’umanità che non si riconosce e che non si può riconoscere più nelle soluzioni militari, sempre più dannose e sempre più terrificanti. C’è una differenza tra la sua e la presidenza Bush o no? Yes we can or no we can’t?
Così come ne ha responsabilità il presidente francese Sarkozy che ha creduto in quel processo d’integrazione euro-mediterranea che è rimasta solo carta scritta per troppo tempo, senza che si sia passati mai del tutto seriamente a richiedere ai capi del Nord Africa, come corrispettivo del processo economico da sviluppare, il pieno rispetto dei diritti umani così cari all’America e all’Europa. Non ci sono anche in Europa e in America concause circostanziali e corresponsabilità nelle vicende maghrebine?
Una guerra è sempre da evitare se non altro perché gli esiti di qualsiasi guerra sono sempre incerti fino a quando non divengono noti da se stessi, perché ogni operazione militare segna sempre ferite che non si riesce mai a sanare, perché lo scontro tra Stati rappresenta sempre una caduta all’indietro rispetto a quel progresso civile e a quell’avanzamento liberale e democratico cui pensiamo tutti di affidare i nostri destini politici e di convivenza civile.
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