PATCHWORK

Pippo: “ehi, Topolino, di qua si va verso il nulla…..!”

Topolino: “beh, per lo meno non c’è traffico….!”

(da La filosofia di Topolino, di Giulio Giorello)

Il patchwork è letteralmente un manufatto di stoffa ricavato da pezzi di tessuto di diverso colore e qualità, cuciti insieme a formare un composto apparentemente disomogeneo.

Il significato letterale del termine si è poi frantumato in una costellazione di sensi accomunati da una connotazione “valutativa” di ordine estetico: spregiudicato! Nel patchwork si mette insieme l’alto e il basso, il bello e il brutto, l’artistico e il kitsch, il popolare e il colto, e così via.

La sperimentazione artistica segue il Geist dell’epoca, adattandosi alle mutate condizioni in cui l’arte stessa si pone in rapporto al mondo e alla società. L’epoca attuale è contrassegnata dal marchio del post-moderno, in cui – per dirla con Lyotard – ogni sapere (scientifico, tecnologico o artistico) si declina intanto e soprattutto come sapere sul linguaggio. Ne deriva una verità fondamentale: il patchwork è un esercizio linguistico portato nel cuore del linguaggio, un gioco linguistico che verte sul linguaggio medesimo.

Ed è questo che fa Mauro Ottolini, con i Sousaphonix, nel suo The sky above Braddock, un incredibile, vorticoso assemblaggio di frammenti linguistici appartenenti alla tradizione (le marching band, la polifonia di New Orleans) e all’avanguardia (europea e afro-americana), con le voci strumentali che di volta in volta prendono corpo dal magma ribollente che le genera, scandite da metriche mobili, cangianti.

Lo fa anche Giulio Giorello, grande voce dell’epistemologia italiana, che avvalendosi della collaborazione di Ilaria Cozzaglio, prende le piccole grandi verità circolanti nella sterminata produzione di Topolino e le “shifta” dal livello basso al livello della riflessioni sui grandi temi del pensiero. E costruisce con il suo La filosofia di Topolino un perfetto manufatto di intelligente varietà (proprio nel senso del varietà….).

Al cinema il modello del patchwork ha dato finora esiti altalenanti: dalle riuscitissime commedie di Mel Brooks che facevano il verso ai film horror alla molto meno riuscita dei tentativi stranianti di coniugare il western alla sci-fi il salto è molto lungo.

Un’opera che all’epoca fece sensazione, ebbe un clamoroso successo ai botteghini e ricevette il plauso della critica fu il superbo True Lies, di James Cameron, con una sulfurea Jamie Lee Curtis e un sorprendente Arnold Schwarzenegger.

Ritmi indiavolati, montaggio geniale, dialoghi gustosi e ficcanti, snodi narrativi avvincenti, l’energia dell’action movie e la tensione della spy story, l’ironia della commedia degli equivoci e la stralunata riconversione (metalinguistica?) del machismo di Arnold. Esilarante!

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