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OLIO DI PALMA: SÌ O NO?
09 Lug 2015 16:59
Ho rimandato la pubblicazione di un articolo sull’olio di palma per settimane, perché volevo vedere fino a che punto si sarebbe spinta la polemica scoppiata ormai da diversi mesi. Ma, dopo la lettura di un recente report, ho deciso che era giunto il momento di dire la mia.
Olio di palma sì o olio di palma no?
Prima di tutto, è doveroso fare chiarezza sull’identità di questo benedetto prodotto. Pochi, infatti, sanno che esistono tre tipi di olio di palma. Il primo è quello grezzo (o integrale), ricavato prevalentemente in Asia e Malesia dalle palme delle specie Elaeis Oleifera e Elaeis guinensis, e caratterizzato dal colore rosso vivo, indice dell’elevato contenuto di antiossidanti e carotenoidi. Decisamente sconosciuto in Occidente, perché colora di rosso le preparazioni culinarie e tende a irrancidire facilmente, è in realtà molto simile all’olio extra-vergine d’oliva, in quanto contiene l’1-3% di frazione insaponificabile (fitosteroli, fenoli, carotenoidi, vitamina E), che lo protegge dall’eccessiva ossidazione durante i processi di cottura, oltre a fornire preziosi microelementi all’organismo. Questo olio, inoltre, contiene 15 volte più precursori della vitamina A rispetto alle carote! Sempre come nel caso dell’olio e.v.o., l’olio di palma integrale viene estratto attraverso spremitura a freddo. Fin qui, quindi, nessun motivo per sconsigliarne l’uso a scopo alimentare, a maggior ragione per la prevenzione di importanti carenze come quella di vitamina A, soprattutto nei Paesi più poveri. Attenzione, però, perché non si tratta dell’olio di palma utilizzato dall’industria alimentare, e quindi citato nelle etichette dei prodotti confezionati. Lo si può trovare, invece, sotto forma di integratore, ma questo è un altro ambito.
Poi c’è l’olio di palma raffinato, cioè trasformato attraverso processi fisico/chimici, che lo rendono un condimento incolore, inodore e insapore, e quindi perfetto per essere usato in moltissime preparazioni. La raffinazione, infatti, comporta la formazione di due distinte frazioni, una solida e una liquida, la prima ricca di acido palmitico, la seconda di acido oleico. La parte liquida, più stabile alle alte temperature, è usata per friggere. La parte solida, ulteriormente trattata, dà origine a diverse forme di grassi, a loro volta utilizzabili per la produzione di margarina, merendine, biscotti, creme spalmabili, salse salate, etc. L’essere insapore, inoltre, permette alle industrie di giocare con l’aggiunta di aromi e insaporitori, in primis l’E950 (aroma di burro), che gli conferisce alta palatabilità a bassissimo costo! Ma l’arma vincente di questo olio raffinato è stata, sin dall’inizio, la sua “cremosa spalmabilità”, che gli ha permesso di sostituire burro, lardo, e altri grassi sicuramente più costosi (circa 1 euro/kg vs 4,5-5 euro/kg del burro anidro).
Infine, c’è l’olio di semi di palma, che si ottiene dai semi essiccati, macinati e raffinati, e contiene meno acidi grassi saturi. Questo prodotto viene utilizzato prevalentemente nell’industria dolciaria, ma ne esistono altre applicazioni come integratore, nella cosmesi e, in futuro forse, sarà testato come combustibile.
Indovinate, fra i tre tipi di cui sopra, quale sia quello al centro delle polemiche…
Senza girarci intorno, vado subito al sodo della mia opinione, precisando che i miei commenti riguardano l’olio di palma raffinato.
Un bel giorno, nel dicembre 2014 (data di attuazione del nuovo Regolamento Ue 1169/2011), le leggi sull’etichettatura sono diventate più severe, richiedendo ai produttori di specificare l’identità del tipo di “grasso vegetale” genericamente indicato in etichetta. Ecco, dunque, che la dicitura “olio di palma” è magicamente apparsa su centinaia, forse migliaia, di prodotti confezionati (inclusi alimenti per celiaci e neonati), mentre fino ad allora era rimasta celata dietro “grassi vegetali”, “grassi vegetali non idrogenati”, “oli vegetali”, etc. Ciò ha fatto sì che il consumatore – ormai sempre più attento e consapevole – abbia notato l’onnipresenza di questo grasso e si sia chiesto “farà male?”. Ecco, quindi, che sono iniziate le polemiche, e si sono creati due schieramenti: le aziende “pro olio di palma” (in primis, Ferrero, Barilla e Plasmon, guarda caso tra i big del settore), che prima si sono arrampicate sui vetri per difendere la bontà dell’olio di palma, ma poi hanno lanciato una riduzione nelle proprie ricette, e quelle che invece hanno già annunciato la sostituzione definitiva di questo ingrediente nei propri prodotti (Gentilini, Misura, Coop, Carrefour, Esselunga, MD discount, Despar, Ikea, Crai).
In parallelo al potenziale danno per la salute arrecato da un abuso di olio di palma raffinato, si è scatenata la polemica in difesa delle foreste, vittime dell’intensa deforestazione ottenuta con incendi e drenaggio delle torbiere. In tutta risposta, le aziende hanno subito giocato la carta dell’olio di palma “sostenibile”, addirittura “certificato” dall’RSPO (Tavola Rotonda per l’Olio di Palma Sostenibile), ma si tratta di mezze verità, perché la quota di olio “certificato” è solo una minima parte, e attribuire valore a una certificazione che tolleri la deforestazione – che intanto continua – è un paradosso non da poco.
Due riflessioni. Primo: le multinazionali che hanno preso a cuore questa causa sono, guarda caso, tra i colossi del settore. Secondo, “sostenibile”… per chi? Per le foreste? Per l’organismo? Alcune associazioni hanno perfino pubblicato dei veri e propri dossier in difesa di questo ingrediente. Voglio riportare, a titolo di esempio, l’elenco delle proprietà dell’olio di palma contenuto nella campagna promossa da Aidepi (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane) dal motto “L’olio di palma: un ingrediente da conoscere, non da demonizzare.” A seguire, in corsivo, i miei commenti.
1- Aumenta la durata del prodotto. Il prodotto confezionato, grazie all’aggiunta di olio di palma raffinato, avrà una data di scadenza più lunga, certo. Uguale: sarà più commerciabile, non andrà a male facilmente. Sono forse queste le caratteristiche che conferiscono o aumentano la salubrità del prodotto stesso?
2- Conferisce croccantezza o cremosità al prodotto. La stessa cremosità, se non migliore, si ottiene usando un altro tipo di olio o grasso.
3- Non contiene acidi grassi trans (l’olio di palma non necessita di idrogenazione). Verissimo (ho parlato degli effetti dell’idrogenazione nell’articolo sulla margarina), ma qui il punto è la raffinazione chimica, processo ben lontano dall’essere naturale.
4- Ha sapore e fragranza neutri. Anche se aggiunto in grandi quantità, dunque, non altera il sapore. Sarebbe un bene? Sopra ho già commentato come questa proprietà favorisca l’utilizzo di insaporitori e additivi vari.
5- Ha un elevato rapporto qualità/prezzo. È molto più che conveniente: costa pochissimo! Ovvio che le aziende ne facciano un uso smodato senza porsi troppi scrupoli.
6- Non contiene colesterolo e non aumenta la colesterolemia. Come TUTTI i prodotti di origine vegetale… E sapete come la penso sul colesterolo! Inoltre, qui non si cita lo studio che dimostra come il consumo elevato di olio di palma, nonostante sia privo di colesterolo, determini l’aumento del colesterolo LDL o “cattivo”.
7- L’acido palmitico è contenuto naturalmente nel latte materno e nell’olio di oliva. E allora? Tra parentesi, l’acido palmitico contenuto nel latte materno ha una conformazione unica, e quello nell’olio di oliva è invece molto inferiore. Lo stesso acido palmitico, inoltre, è oggetto di studi che lo pongono come possibile cofattore nell’insorgenza di alcune patologie prese in esame.
8- Ha una quantità di acidi grassi saturi leggermente inferiore al burro. Anche dei benefici di un consumo moderato di burro crudo ho già parlato… Che poi, che razza di confronto è? Il burro è un alimento naturale, qualsiasi olio vegetale RAFFINATO no! Senza contare che l’olio di palma raffinato, a causa della sua ubiquità nei prodotti confezionati, è consumato tutti i santi giorni, più volte al giorno!
Altri opuscoli e campagne del genere, a parte riproporre in varie salse questa pappardella, guarda caso omettono sempre di citare gli studi che evidenziano una correlazione negativa tra l’uso dell’olio di palma e gli effetti sulla salute. La ricerca, invece, è in fermento, e prego i più volenterosi di accertarsi sempre della fonte bibliografica da cui proviene un articolo o un semplice commento. Ne troverete, infatti, non pochi che promuovono l’uso di quest’olio, ma andando a scavare, si scopre che questi esperimenti sono stati finanziati da centri di ricerca partner di Ferrero e compagnia bella. Anche questo si commenta da solo. Perfino un documento firmato dal CraNut (Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, ex Inran), ha espresso un parere alquanto generico sul problema dell’olio di palma, quasi a voler ridimensionare la polemica, e spostare l’attenzione sull’eccesso dei grassi saturi (come si evince leggendo la seconda parte del file)…!
Concludendo, è vero che, ad oggi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità non ha preso posizioni ufficiali, così come non lo hanno fatto l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità. Ma il punto è, serve davvero una dichiarazione ufficiale per frenare il consumo di un prodotto decisamente NON NATURALE? Il punto, ribadiamolo, non è l’ingrediente di partenza, poveretto, bensì la raffinazione, che lo trasforma in qualcosa di artificiale. Ovviamente NON è l’unico ingrediente di questa infame categoria.. e se sconsiglio l’uso di merendine, fette biscottate, crackers, grissini e molti altri prodotti confezionati, è anche per questo motivo. Senza contare che, oltre all’imputato di oggi, questi pseudo-alimenti sono letteralmente pieni di additivi e ZUCCHERI RAFFINATI. Con il pretesto di verificare la presenza di olio di palma nelle etichette dei prodotti del supermercato, forse il consumatore inizierà a rendersi conto di molte altre cose celate dietro nomi e sigle di ogni genere.
Ricapitolando, considerare il solo olio di palma come l’origine di ogni male è sicuramente un’estremizzazione, ma giustificarne o addirittura promuoverne l’uso per la produzione dei cibi confezionati, su cui oggi si basa la maggior parte dell’alimentazione, è un altro discorso. Dire addio a questi prodotti (o ridurli drasticamente, meglio di niente!), significa rinunciare non solo all’olio di palma, ma a molti altri ingredienti di pessima qualità, e automaticamente adottare un’alimentazione più genuina e naturale.
PS. Provate a tostare una fetta del nostro pane di casa, e poi ditemi qual è più buona tra una fetta biscottata di qualsiasi marca e quella “fatta in casa”.
https://www.change.org/p/stop-all-invasione-dell-olio-di-palma
http://sito.entecra.it/portale/public/documenti/olio-di-palma-nut.pdf
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