OGNI SGUARDO MI FA COLPEVOLE DEL COLORE DELLA MIA PELLE

Era una fredda mattina di dicembre quando dal mio paese arrivai in una grande città del nord.

Fuori dalla stazione grandi edifici dalle facciate grigie e  tristi, invano   illuminate da striscioni argentati e da lucine appannate, si innalzavano verso il cielo. Anche l’aria era grigia, sembrava fumo. Smarrito, presi a chiedere dove fosse la strada indicata su un foglio ormai lacero.

Risposte brevi, secche, infastidite. E soprattutto un gran freddo…

A scuola , nonostante la mia età, fui ammesso ad una seconda. Non conoscevo bene l’italiano.

 La prima volta che entrai in classe, dodici facce mi guardarono e ammutolirono. Poi un educato distacco che si tramutò a poco a poco  in indifferenza. Ero nessuno, non esistevo.

Ora è di nuovo Natale, è passato un anno dal mio arrivo in questa città.

 É la stessa mattina fredda e nebbiosa, ma non sono a scuola. Sono su un marciapiedi di un grande corso, ricco ed elegante.

 Sto qui come tanti altri come me accanto ad un semaforo.

 Lavo i vetri delle automobili e attraverso i vetri  leggo sempre freddezza, insofferenza, diffidenza.

Ogni sguardo mi fa colpevole del colore della mia pelle, della mia miseria e a volte mi verrebbe voglia di strapparmela  questa pelle scura, ma poi guardo quella gente tutta per bene e allora anche io ne provo disprezzo. O forse  compassione.

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