NON SOLO TASSE…

La meritevole azione di risanamento dei conti pubblici del governo Monti ha ovviamente scontato l’urgenza di dover reperire con immediatezza risorse certe.

Sappiamo quanto questo sia costato a noi cittadini in termini di denari (inasprimento fiscale) e di diritti (età pensionabile), ma ovviamente questo è solo il primo dei tasselli necessari a comporre il nuovo mosaico che dovrà essere l’Italia che riesce a reggere la scommessa rappresentata da un nuovo contesto globale economico e sociale contrassegnato dall’immissione nel mercato globale di oltre 2 miliardi di  nuovi produttori e consumatori… (ovviamente mi limito a parlare solo del contesto economico, le implicazioni sono più ampie e diverse se allarghiamo il ragionamento in termini complessivi perché si tratta di oltre un terzo della popolazione mondiale che si affaccia al benessere, che si apre alla relazione con altri popoli… insomma si scriverà nei prossimi decenni una pagina nuova di storia dell’umanità). 

Tra le misure necessarie sicuramente c’è quella di contenimento della spesa pubblica e questo governo con maggiore consapevolezza rispetto al precedente ha opportunamente posposto i tagli di spesa a un’azione di “spending review” (inglesismo raffinato che significa “analisi della spesa”); sappiamo già che anche questo avrà il suo impatto doloroso per i cittadini, ma tra tante cose che “costano” si potrebbe cominciare a avviare un processo di cui si sente grande bisogno e rispetto al quale mi pare che non ci sia un’attenzione adeguata: intendo la riforma della pubblica amministrazione!

Dopo le famose, necessarie e quantomai opportune riforme “Bassanini” (che oramai datano 15 anni fa) che hanno grandemente innovato il rapporto tra cittadini e Pubblica Amministrazione, e gli “annunci” minacciosi, ma particolarmente inutili di Brunetta (i cui interventi sono serviti solo a penalizzare gli ammalati “veri” senza incidere sugli “ammalati disinvolti”), nulla si è mosso riguardo alla Pubblica Amministrazione:

a) l’inefficienza è rimasta “tale e quale”,

b) gli avanzamenti di carriera continuano ad avvenire con il criterio della “anzianità di servizio”,

c) l’operato dei dipendenti pubblici continua a non ricevere nessuna valutazione (ne interna dal superiore gerarchico, ne esterna dagli utenti del servizio pubblico),

d) gli incentivi continuano ad essere ripartiti quasi esclusivamente in base al criterio della “presenza” (a prescindere che si esprima in “lavoro” o in “semplice trasmissione di calore” verso la sedia).

Senza incentivi, sostanzialmente in assenza di sanzioni, con controlli “laschi”, nessuna organizzazione ha speranza di efficienza!

La cosa assolutamente preoccupante è che tutto questo continua ad avvenire nel completo disinteresse da parte di tutti: dei tecnici, dei politici di maggioranza e di opposizione, degli stessi pubblici dipendenti che mugugnano, ma alla fine si appiattiscono (tantomeno dei loro rappresentanti sindacali ormai impegnati solo in battaglie difensive – tra l’altro inefficaci -,  e di noi cittadini che subiamo, ma abbiamo perso la capacità (o la speranza?) di stimolare il cambiamento.

Vogliamo scommettere che quando davanti alla voragine delle risorse pubbliche divorate da servizi inefficienti Qualcuno proporrà tagli di organici e/o di emolumenti si leveranno alte le grida di chi si scandalizza e si pone zelante alla ricerca dei responsabili di “tanta insensatezza”?

E’ ovvio che in un contesto di grave crisi economica, se come appare ormai probabile, le misure restrittive di bilancio freneranno ulteriormente l’economia, il prossimo serbatoio cui attingere, potrebbero essere proprio gli stipendi pubblici: prima di falcidiarla la Pubblica Amministrazione, non è più sensato provare a “efficientarla”?

Tra l’altro un apparato pubblico “pesante” come quello dell’Italia “messo a regime” darebbe una tale mole di servizi da costituire di per se un volano economico e se correttamente gestito anche un ristoro alla diminuzione del potere d’acquisto dei cittadini  dovuto all’aumento delle imposte (un ritorno di maggiori servizi e di migliore qualità compenserebbero sicuramente i “sacrifici tributari” cui siamo sottoposti).

Volutamente non sono entrato nell’ambito dei benefici di ordine culturale e di crescita “etica” (sia in termini educativi per la comunità, sia in termini di isolamento delle “mele marce” che purtroppo si annidano anche nell’apparato pubblico) che sarebbero effetti collaterali di una seria riforma della Pubblica Amministrazione, non perché non ne veda l’impatto enorme, ma mi limito in questa occasione ai soli riflessi economici per evitare che si pensi che sia un discorso da “anime belle” invece che un ragionamento di interesse “concreto” e “collettivo” che coinvolga tutti e per primi gli stessi dipendenti pubblici.

Per una volta almeno una riforma si trasformerà in un’occasione di crescita collettiva, anche di coloro che all’inizio se ne sentiranno minacciati: molti pubblici dipendenti a mio avviso ritroverebbero l’orgoglio di svolgere una pubblica funzione senza sentirsi offesi dalla scarsa considerazione di cui i pubblici dipendenti godono attualmente, o frustrati dall’incredibile raffronto con chi non fa il proprio dovere e viene trattato allo stesso modo se non addirittura privilegiato.

 

    

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it