NON SO A CHI CREDERE

Quando i bimbi incontrano i primi grandi dolori, ma anche quando provano gioia o restano stupefatti di fronte allo spettacolo della natura, ci accorgiamo di quanto l’essere umano sia ‘naturalmente religioso’ non nel senso di una fede in una divinità superiore ma in quello ricavato da una pro­babile etimologia del termine ‘religione’ che lo vuole derivato dal latino religare.

Questa fondamentale unità del tutto, questo legame tra gli eventi e le loro cause, naturali e soprannaturali, visibili e invisibili, è caratteristico della visione del mondo infantile. Anche gli adulti sperimentano questa loro originaria sensibi­lità religiosa quando ricordano, rievocano, immaginano, fantasticano, sognano, gettano impensabili ponti tra presente, passato e futuro annullando i limiti di spazio e di tempo che vincolano l’esistenza dell’essere umano. Anche se non sempre ce ne rendiamo conto, molto spesso noi cerchiamo legami tra eventi, esperienze, emozioni e sentimenti come se credessimo alla fondamentale unità del nostro mondo.

È stato però detto: il bambino si affida, il credente vuole. Il problema è ap­punto il passaggio dall’affidarsi al credere. Non si può negare la capitale impor­tanza di ciò che è avvenuto quando, da piccoli, noi ci affidavamo agli adulti, ci fidavamo di loro. Ciò che abbiamo ricevuto e ciò che ci è stato negato, ciò che ci è stato insegnato a credere e ciò da cui ci è stato detto di diffidare, rimane iscritto durevolmente dentro di noi e condiziona il nostro atteggiamento in tutte quelle situazioni nelle quali ci si chiederà ancora una volta di affidarci, dunque anche nelle questioni di fede. Se, come è stato detto, il credente non subisce ma davve­ro vuole, ciò significa che ha interiorizzato una fiducia di base nel mantenimento delle promesse. Se non siamo stati aiutati e protetti o se siamo stati ingannati durante il periodo nel quale ci affidavamo agli adulti, c’è il rischio di non credere più a nulla, di fingere di credere per opportunismo oppure di rifugiarsi in una granitica fede per nascondere le nostre insicurezze sotto la corazza del pregiudi­zio, dell’integralismo e del fanatismo, tutti mali, questi ultimi, tra i più diffusi e perniciosi del nostro tempo.

Il sentimento religioso sorge spontaneamente in un bambino che è nato per non morire, che è nato anche per sapere, interrogarsi e interrogare. Ma il sentimento religioso non va confuso con il credere. Per me credere, o non credere, presup­pone una coscienza e un volere, mentre il bambino prevalentemente si affida.

Qui emerge la responsabilità degli educatori: lasciare che il bambino non sia forzato a credere o a non credere, ma che gli sia consentito di sperimentare e col­tivare senza costrizioni il suo naturale sentimento religioso, accettando gli esiti di questa ricerca anche se non corrispondenti alle nostre attese. Occorre soprat­tutto incoraggiarlo a ritenere il tema degno comunque della massima attenzione, anche quando si sentirà dire che si tratta di argomenti futili, da creduloni, tipici di un’età in cui si crede ancora alle favole o, soprattutto, quando vedrà, o subirà, gli effetti devastanti del fanatismo religioso.

Credere o non credere è cosa da grandi, mentre il sentimento religioso è cosa da bambini, nel senso più alto dell’espres­sione, e come tale va rispettato e se possibile recuperato grazie a un atteggiamen­to comprensivo e tollerante degli adulti.

Il percorso verso obiettivi alti come sono quelli che attengono a nostre trasfor­mazioni interiori è duro, difficile, lungo, penoso, talvolta al limite dell’impossibi­le. Per molti di noi il tema della fede è qualcosa da rifiutare o accettare in blocco, e questo talvolta comporta qualche rischio in un clima di intolleranza che oggi non è minore che nel passato. Di solito però noi adottiamo il credo religioso della nostra cultura di appartenenza per così dire ope legis. Per caso sono nato in am­biente cattolico, ma sarei potuto nascere da genitori musulmani, ebrei o induisti o non credenti. Adottare in questo modo una confessione religiosa è tutto meno che un’ “esperienza religiosa”, un’esperienza che invece tutti dovremmo fare per poterci dire un giorno credenti o non credenti

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