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Non scandalizzi l’ergastolo a una mamma che abbandona la figlia di 18 mesi in casa
16 Mag 2024 09:02
La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola
Intendiamoci, per quello che vale la mia opinione, anche 24 anni a una donna di 38 sarebbe stata una pena comprensibile (senza infliggere il senso di un “fine pena mai”).
Ma l’ergastolo (in primo grado) non mi scandalizza.
Perché mai noi psicologi dovremmo capire e “giustificare” sempre tutto?
A differenza di alcune/i colleghe/i (e psichiatri, sociologi, giornalisti) non sono contrario alla scelta dell’ergastolo per una madre che per sei giorni abbandona una bambina di diciotto mesi da sola in casa. Causandone la morte nell’agonia.
Tanto più che la donna è stata definita “capace di intendere e di volere” (e in seno al processo avrebbe strategicamente recitato il “copione” dell’ignara “insufficiente mentale”).
Ho incontrato negli anni madri a volte disabili, ignoranti, “sciocche”, sole, instabili, lacerate incolpevolmente da infanzie e adolescenze personali drammatiche e interrotte. Ma raramente ho incontrato una mamma che in sei giorni non abbia, seppure per un istante, rivolto naturalmente un pensiero di compassione verso la propria creatura. Bimba con la quale l’adulta aveva disegnato i dettagli della quotidianità (sguardi, sorrisi, pianti, bisogni) per oltre un anno e mezzo. La tragedia non nasce da un raptus riconducibile alla psicopatologia. Apparirebbe come la scelta egoistica perpetrata nella dimensione temporale di più giorni.
La sentenza è dell’altro ieri. La storia del 2022. Alessia chiude la porta del suo monolocale, portando con sé la valigia piena di abiti da sera (da indossare negli appuntamenti con il suo fidanzato). Non si cura del fatto che, al di là della porta, dietro la sua storia, cinque passi indietro nella sua vita, lascia una bimba inerme di un anno e mezzo, derubata dell’affetto, delle cure, del sostentamento, della quotidianità, della vita vissuta per diciotto mesi insieme, intontita dal caldo e dai tranquillanti, con solo un biberon di latte e una bottiglietta di acqua. Sola in casa, scaricata per giorni eterni e infernali.
Per Alessia l’avvocata aveva chiesto l’assoluzione o comunque una condanna per abbandono di minore. Non l’omicidio senza premeditazione (come deciso ora in primo grado).
E le corresponsabilità morali eventuali di chi le stava intorno non attenuano la ferocia di un’assenza intenzionale. La rete sociale non ha saputo intercettare il disagio di questo nucleo (non ha aiutato in tal senso l’isolamento delle due e il fatto che la piccola non frequentasse la scuola per ragioni anagrafiche). Forse i familiari più vicini (non mi pronuncio perché non conosco i retroscena) avrebbero potuto cogliere segnali e avvisaglie …
Insomma, non mi scandalizza l’ergastolo se penso che la piccola, svuotato il biberon e bevuto il latte, ha provato a sfamarsi mangiando brandelli di pannolino (ritrovati poi nello stomaco durante l’autopsia) a raccontare la sua lunga agonia.
Non lo accetto. Se immagino la piccola Diana.
Se è vero, come è vero, che l’inferno non è altro che il silenzio dell’umanità avvolto in uno sgargiante abito da sera.
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