È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
NIGRITELLA, RODODENDRO, RAPERONZOLO…
28 Lug 2013 08:17
Il 10 agosto avrei dovuto partecipare come Associazione Culturale “Amici di Parola”, ad un evento con una lettura per conto del Festival Montagna Natura Energia al Castello del Buonconsiglio a Trento.
Naturalmente ne ero entusiasta, ma la scorsa settimana mi arriva un messaggio che mi dice che l’appuntamento al castello salta, invece, sempre se ero disponibile, l’evento era anticipato e si sarebbe tenuto al rifugio Roda del Vael, in Val di Fassa, nel cuore dolomitico del Gruppo del Catinaccio e situato sulla sella del Ciampaz, a 2283 m. di quota. Mi era già capitato anni fa di andarci e era stato bellissimo, ma lo avevo raggiunto dal Rifugio Paolina 2125 m. e lì ero arrivata in seggiovia; il sentiero che portava alla Roda del Vael, a parte l’inizio, piuttosto scosceso, era fatto di piccoli saliscendi, con vista splendida. L’organizzatore mi aveva detto che saremmo saliti con la jeep dall’altro versante.
Io ero tutta contenta, perché non sarei arrivata affaticata per la lettura.
Ma all’ultimo, quando ho chiesto cosa dovevo portarmi, mi ha raccomandato le pedule da montagna, perché la macchina non sarebbe arrivata fino in cima, ma che c’era un 10 minuti di salita sul sentiero… un quarto d’ora se non ero molto allenata. Il mio allenamento in montagna è vicino allo zero, ma mi piaceva l’idea di cimentarmi. Oltre tutto il panorama era un incanto. Ormai era quasi il tramonto e mi sarei seduta a contemplare i Monti Pallidi fino a notte.
Ma bisognava muoversi. Oltre all’organizzatore c’era la sua ragazza ucraina, molto simpatica e che parlava un ottimo italiano, ci raccomandò di salire con calma, il rifugio era lì in cima e non c’era mica fretta e partì come una scheggia! Già, sembrava la casina delle bambole, e mi dava l’idea che la distanza non fosse poi così breve. Mi sono messa a scattare foto e poi salire, salire, salire. Ogni tanto, il fiato era talmente corto, che era meglio mi fermassi e, con la scusa di mostrare la flora, mi fermavo e spiegavo con dovizia di particolari. Presentavo: nigritella, fiore profumato, raro e protetto. Da noi si cantano perfino canzoni su questo fiore bruno… poi ancora su… rododendro, ma quello si trova un po’ dappertutto in montagna; un altro pezzetto di sentiero, visto il myosotis? Quest’anno c’è ancora perché ha fatto freddo più del solito… avanti, timo serpillo, cura le malattie respiratorie, confermato che succede anche in Ucraina…. Ancora su, sembrava non si arrivasse mai, raperonzolo, geranio rosso,… genziana gialla ormai sfiorita… adesso smetto di parlare e conservo il fiato. No, continuo a commentare e la ragazza che mi accompagnava, cortesemente non dava a vedere che ero una lumaca, dicendomi che le piace molto camminare lentamente, così si possono osservare tutti i particolari.
Ci vengono incontro i due musicisti, prima della rampa finale, due ragazzi simpatici, che si prendono i nostri zaini e ce li portano su… in pochi minuti. Alla fine riesco ad arrancare fino alla cima, e mi si dice di sbrigarmi che la cena è pronta… (la lettura doveva essere fatta durante il pasto e all’aperto). Bene, vado a cambiarmi, mi vesto in lungo come si conviene. Dentro un rifugio io non mi ero mai fermata. Ma trovo la signora che lo gestisce, pratica, dai modi piuttosto spicci, ma cortese e disponibile e, alla mia richiesta di uno specchio, perché mi dovevo cambiare, mi ha portata su, lì dove c’erano i servizi e la doccia. C’era un andirivieni di gente, mi sono lavata il viso, (ero sudatissima), cambiato abbigliamento, sistemata un po’, infine sono scesa.
Mi sono adattata subito al posto. La lettura è stata fatta dopo, invertendo la scaletta, ma è andata molto bene. Gli ospiti erano numerosi e i musicisti bravissimi. Insomma, molta soddisfazione. Anche i filmati erano interessanti. Ad un certo punto la serata si è conclusa, nel frattempo avevo cenato pure io. Mi era stato chiesto subito prima di partire, se mi sarei potuta trattenere per la notte al rifugio. Era la prima volta e io ho detto di sì. Sono quindi andata a cambiarmi, anche perché non ero vestita pesante e cominciavo ad avere freddo. Sempre lì, dove mi ero cambiata prima, ovviamente, mi si avvicinò una bella signora bavarese, che si complimentò con me per la lettura, ma mi confessò che aveva capito poco, perché non conosceva bene l’italiano. Il tedesco lo capisco e lo conosco abbastanza, almeno per una conversazione semplice. Certo, non mi capita spesso di fare conversazione in questa lingua e quindi faccio un po’ fatica per mettere insieme le frasi e dire le cose chiare. Sarà stata la stanchezza forse, ma non mi veniva in mente quasi nulla, però mi reputo una persona che ha qualche risorsa di riserva e infatti un po’ con la mimica, un po’ con l’italiano semplificato il più possibile e un po’ di tedesco, che a sprazzi veniva alla luce, credo di avere spiegato che cosa avevo letto, si trattava di un brano di un libro di Walter Bonatti Montagne di una vita. A sua volta la signora, mi ha ringraziato e mi ha detto: Ho capito. Seher gut. Lei, parlato col cuore. Gute Nacht.
La maggior parte degli ospiti (genovesi in vacanza), con l’organizzatore doveva scendere fino a Vigo di Fassa con i frontini (piccole pile a leds da tenere con un elastico sulla fronte), per vedere dove di mettevano i piedi. Io sarei andata a dormire sopra, all’ultimo piano, e gli altri due sotto. Salendo vedo un piccolo cartello con una freccia che indicava in cima alla scala: stanza LAGER. Arrivata, mi hanno indicato il letto tra altri cinque ormai occupati e il resto tutto letti a castello tutti occupati anche quelli. Ho contato 15 posti. Da qui il nome credo. Va detto, per chi non fosse mai andato per rifugi, che è molto più comodo di un bivacco all’aperto, ma ci si deve adattare. Nessuno bada a nessuno. Pregavo tra me e me di non dovermi alzare, (cosa che capitò invece alle due del mattino e per non fare rumore, alla luce della luna, sono uscita dalla stanza, cercato il mio frontino nello zaino e scesa alla toalette. Poi su. Togliere le scarpe, mettere via la pila, tornare a letto e non sbagliare posto. Insomma diciamo che non ho praticamente dormito. Nessuno russava, ma non riuscivo a prendere sonno, nonostante la stanchezza. Verso mattina mi sono addormentata e, proprio allora, la ragazza è venuta a svegliarmi. Erano le 4.45. Sono scesa due piani, preso un bicchiere di the, preparato rapidamente lo zaino e alle cinque via subito per scendere, ma non nello stesso posto della salita…. Magari! No, via al rifugio Paolina (poco più di due chilometri di cammino) per la metà col frontalino acceso benché ci fosse la luna e in un tempo giusto, circa tre quarti d’ora e guadagnando 155 metri di quota verso il basso. Poi ho voluto scattare alcune foto di corsa, (ma anche tirare il fiato), oramai era l’aurora. Poi giù al passo di Costalunga quasi 500 metri più in basso. Il sentiero era molto scalinato e era faticosissimo. Anche qui credo di avere dato fondo al mio sapere sulla flora alpina. Rosa di s. Francesco, senza spine… giglio montagone, bellissimo vero?, vedovine, anemone alpino, si sarebbe giallo probabilmente, ma vediamo l’infruttescenza, un po’ come il tarassaco, che da fiore giallo che sembra un sole, da frutto diventa un soffione… Ancora giù, grondo sudore come una fontana. Mi mangio una bustina di zucchero e mi riprendo un po’… ad un certo punto un ginocchio cede su un ennesimo scalino insieme a un crampo. Mi trovo sdraiata sul sentiero per fortuna non mi sono fatta niente. Aspetto un po’, altra bustina di zucchero e poi via… il sentiero digrada, ma sembra non finire mai. Ma ci tengo a farcela e ci riesco. Arriviamo al parcheggio che sono le sette e mezza, Il tempo di cambiare le scarpe e dare sollievo ai piedi con le vesciche, e via verso Trento perché per le 9 l’organizzatore deve essere al lavoro. Arriviamo in tempo.
Sembra una sciocchezza, in fondo chi fa trekking oppure alpinismo, può considerare la mia performance penosa. Sicuramente, se si confronta quello che ha fatto l’organizzatore dell’evento che è salito il giorno prima da quel sentiero ripido, poi sceso fino a Pozza con gli escursionisti, poi andato a prendere la macchina e avvicinata al Passo di Costalunga e risalito fino al rifugio Roda del Vael di nuovo per dormire… Sì, al confronto faccio semplicemente ridere. Non importa, la mia misura era questa. Ho veramente messo alla prova le mie capacità e sono felice come una pasqua di averle superate. Non era mica scontato.
Stavo dunque scoprendo l’avventura, ricca di quelle componenti che esaltano e migliorano l’uomo. Stavo scoprendo soprattutto, il mio modo di essere.
Walter Bonatti da “Montagne di una vita”
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