NATALE

Gli esseri umani hanno proprio bisogno di appigli simbolici. La pratica costante, continua della propria umanità deve essere oltremodo difficile se ci risulta tanto necessario avere dei punti di riferimento temporali che scandiscano – nel calendario – l’amministrazione dei nostri sentimenti e dei nostri stati d’animo. Carnevale è il momento in cui ci è concesso di esprimere la nostra follia, ferragosto quello che ci autorizza a sentirci lontani dalle nostre responsabilità e dai nostri impegni, Natale il momento in cui essere “buoni”.

Definitivamente sganciata dai significati originari, liturgici di una festa religiosa, la ricorrenza contribuisce a sviluppare, in modo pervasivo, la soggettività del consumo e quella della facile fungibilità nella cultura del profitto (fungibilità significa che qualunque cosa, e il suo esatto contrario, può rendere un profitto: persino la faccia di Che Guevara stampata su una t-shirt, l’icona di Marx, la Sindone, la bontà, la Coca-Cola e così via consumando….).

Più bello e infinitamente dolce pensare al Natale come alla festa dell’appartenenza. Cosa talmente plausibile che si spiega perché a patirla siano soprattutto quelli da poco separati e i carcerati.

La crisi ci aiuterà a stare più dentro alle cose.

La crisi ci aiuterà a ricordarci che il calendario non è l’unico strumento con il quale proteggerci dall’angoscia di morte.

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it