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MUTAZIONI “FORTUNATE” PROTEGGONO DALLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI
20 Nov 2014 05:54
Al convegno medico internazionale di Chicago dell’American Heart Association Scientific Session appena conclusosi, uno degli studi su cui si è discusso potrebbe aprire la strada ad un nuovo tipo di approccio genetico alla terapia di alcune patologie senza il ricorso al trattamento classico farmacologico e quindi evitando gli effetti collaterali ad esso associati.
Individuando e potendo apportare una mutazione a livello di determinati geni, si potrebbero creare condizioni di “protezione” verso alcuni tipi di malattie.
Lo studio riguarda il gene che codifica per la proteina NPC1L1 che ha un ruolo nel regolare l’assorbimento del colesterolo a livello intestinale.
Premesso che il colesterolo è fondamentale per la struttura delle cellule ed il metabolismo dell’organismo, quello cosiddetto “cattivo” (LDL, cioè legato a proteine a bassa densità) se in eccesso di concentrazione a livello del sangue, può depositarsi e formare placche a livello delle pareti arteriose costituendo quindi un elevato fattore di rischio per infarto e malattie cardiovascolari.
Lo studio (Inactivating Mutations in NPC1L1 and Protection from Coronary Heart Disease ) è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine dai ricercatori del Myocardial Infarction Genetics Consortium.
In pratica hanno sequenziato le regioni codificanti di questo gene su un un numero molto ampio di persone (7.364 pazienti con coronaropatia e 14.728 controlli di origine europea, africana o del sud-est asiatico); da queste analisi è risultato che esistono 15 mutazioni in grado di alterare la produzione della proteina carrier.
Ebbene, i portatori della mutazione (1 persona ogni 650) presentavano in modo spontaneo un livello ematico di colesterolo LDL inferiore di 12 mg/dl rispetto al gene “normale” e il rischio d’infarto cardiaco inferiore del 53%: «Un effetto rilevante per un cambiamento modesto».
Cioè, avere una mutazione “fortunata” tra queste equivale alla terapia con uno specifico farmaco, l’ezetimibe, usato per controllare l’assorbimento intestinale del colesterolo riducendone la concentrazione del sangue agendo proprio sulla proteina del gene NPC1L1:
«Avere una copia del gene non funzionante è esattamente come assumere ogni giorno della nostra vita un farmaco che inibisce quel gene» spiegano gli Autori.
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