MOSTRACI IL TUO VOLTO PADRE

Vi saluto di cuore nel Signore che viene a portare la gioia e la pace in un mondo pieno di sofferenza e di focolai di guerra. La nostra fede cattolica crede che la gioia e la pace li porta il Signore, il piccolo di Betlemme, unico nostro vero amico in queste società troppo spesso effimere.

D’altronde l’evento del Natale risponde a una domanda di vita, inscritto nel desiderio più profondo dell’essere umano, quello di “vedere Dio”: “L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?” (Sal 41). Quest’anelito resta incrollabile nella nostra esistenza, mentre “tutto passa”.

È vero, quanto dice San Paolo: “Passa la scena di questo mondo” (1Cor 7, 31b). Forse è meglio dire che la scena di questo mondo è già passata, perché – grazie al Natale del Signore Gesù – veniamo già immersi in “cieli nuovi e terra nuova” (cfr. Ap 21, 1). Il tempo di prima è passato, anzi è finito, perché il “cielo dei cieli” è qui sulla terra con Gesù, in Gesù, tramite Gesù. Perciò “il cielo si è capovolto” (Primo Mazzolari) e ora noi viviamo un tempo “nuovo”. È “nuovo” questo nostro tempo perché sicuramente il tempo-kronos – quello che si misura con l’orologio, con i giorni della settimana, con i mesi e gli anni – avanza dentro gli stravolgimenti culturali sempre più incessanti e vorticosi della nostra vicenda storica. È “nuovo” però questo nostro tempo perché il tempo-kairòs – quello che è provvidenza della nostra vita e si misura con la maturazione del cuore nell’amore –  avanza dentro i cambiamenti delle nostre esistenze sempre più amicali, solidali, giuste, leali, umanamente belle.

La venuta di Gesù lascia scorrere il tempo-kronos, ma cambia totalmente il tempo-kairòs. Perciò, con Natale, è tempo oramai solo della fede, perché “il tempo è compiuto […] convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 15). Convertirsi e credere al Vangelo è la stessa cosa: si crede al Vangelo convertendosi e ci si converte credendo al Vangelo. È impossibile fare diversamente. Il Vangelo urge conversione. Diversamente non può essere annunciato, né tanto meno può essere accolto. Conversione è cambiamento della vita e coincide esattamente con l’ascolto e con l’accoglienza del Vangelo.

Perché il Vangelo è Gesù stesso nella sua persona.

“Incarnazione” è una parola difficile del vocabolario italiano con la quale diciamo la verità della fede cattolica: veramente il Figlio di Dio si è fatto carne, veramente la seconda persona della Trinità ha assunto un corpo di uomo, Gesù di Nazareth, ed è divenuto uomo, effettivamente. La parola difficile – Incarnazione – corrisponde però ad un racconto semplice: nella grotta di Betlehem, il Piccolo nato da Maria di Nazareth non è soltanto figlio dell’uomo, ma realmente Figlio di Dio. Perciò, il vero uomo (la vera umanità) assomiglia a Lui. Perciò il vero Dio (la vera divinità, cioè la vera comunicazione di chi è Dio) assomiglia a Lui. Lui, Gesù di Nazareth, nato a Betlehem, ci dice (cioè ci rivela) chi è Dio e chi è l’uomo.

Vero uomo e vero Dio significa proprio questo: da Gesù di Nazareth in poi, l’uomo e Dio passeggiano insieme per le strade delle odierne società con il loro vero volto.

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Gesù è venuto, infatti, a bruciare le maschere dell’uomo e di Dio.

Sulle maschere dell’uomo, il grande Pirandello ha tenuto lezioni al mondo intero con i suoi romanzi: “nel lungo tragitto della vita incontrerai milioni di maschere e pochi volti”, disse in diverse occasioni. Dal canto suo, Marco Mengoni (per chi non lo conoscesse, è un giovane cantante molto seguito dai ragazzi per le sue “canzonette”, specie quella con cui ha vinto a Sanremo) in Credo negli esseri umani canta così: “Oggi la gente ti giudica per quale immagine hai, vede soltanto le maschere non sa nemmeno chi sei”. Capita appunto questo tra noi esseri umani, che guardiamo le maschere che ci mettiamo noi stessi o che altri ci mettono addosso. Il rischio è di trasformare la vita ordinaria di tante persone in una perpetua e infinita carnevalata, dove tutti “recitano una parte”, dentro una-ormai-non-più-innocente ipocrisia.

Le maschere dell’uomo sono di diversa natura, a seconda che uno regga una scena piuttosto che un’altra, sia cioè attore di una commedia piuttosto che di un dramma. Così accade in ogni settore della vita dell’uomo: in politica, come nell’economia, nella società, come nella famiglia.

E nella religione? Anche, sicuramente.

Non fu per niente un caso che Gesù di Nazareth – sempre il piccolo della grotta di Betlehem, poi cresciuto e divenuto profeta e maestro della Galilea -, chiamava “sepolcri imbiancati” gli scribi e i farisei che erano come delle istituzioni nella religione israelita. L’ipocrisia non è una dotazione della religione, ma piuttosto dei religiosi in ogni epoca e in ogni esperienza del sacro. Non è la religione che impone l’ipocrisia, è piuttosto il cuore dell’uomo che si maschera d’ipocrisia religiosa. Infatti, la religione vuole che la persona “creda” e, invece, spesso, le persone della religione “non credono”: “Gesù si meravigliava della loro incredulità” (Mc 6,6).

Non credendo, le persone della religione trasformano la religione in un contenitore vuoto, bello all’esterno e dentro vuoto. La vuotaggine è poi riempita di sterpaglia e di putridume, mentre le apparenze religiose vengono salvaguardate nella loro bellezza esterna, e nei loro adornamenti esteticamente ineccepibili.

La religione non-credente è una maschera, la religione che crede è il volto.

Perciò Gesù gira per la Galilea e la Giudea, e cerca la fede e s’interroga, con una questione che attraversa oramai i secoli e resterà per sempre: “quando il figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18, 8).

 

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Inquietati da questo interrogativo, da questo versante ci chiediamo: cos’è, allora, la fede cattolica e cristiana?

È anzitutto rivelare il “volto umano dell’uomo”, togliendo tutte le maschere del suo abbrutimento. Gesù nasce a Betlehem per rivelare il vero volto umano dell’uomo. Allo specchio del Nazareno, tante forme disumane delle maschere degli umani di oggi, nelle società dell’iperconsumo, appaiono in tutta evidenza come “brutezza della vita”:

– “lo spreco del pane e dell’acqua”, metafora di tutti gli sprechi del mondo da parte del benessere, in faccia ai poveri che non hanno da mangiare e da bere e vivono in condizioni di disagio sociale, nuovi mendicanti e immiseriti della storia recente, costretti spesso a vendersi (o nei propri corpi o nella propria dignità);

– “lo scarto delle persone”, metafora di tutti i fenomeni di corruzione, nei  quali il potere, mascherato di perbenismo, esercita la più grande violenza, chiudendo ogni possibile futuro, nel mondo del lavoro, della scuola, dell’educazione e dell’accesso ai diritti fondamentali dell’essere umano;

– “lo sfruttamento anarchico delle risorse della terra”, metafora di ogni abuso che rende la nostra “casa comune” – l’habitat umano del paradiso terrestre che è il nostro pianeta -, non più abitabile per la maggior parte degli esseri umani in continua migrazione, alla ricerca di un “nuovo inizio”;

– “la chiusura egoistica e razzistica alla vita”, metafora dei nuovi muri costruiti fisicamente o virtualmente, per impedire che esseri umani possano accedere a una nuova qualità della vita in nuovi territori e culture o che i concepiti nel grembo delle madri possano nascere e venire al mondo, uscendo dal nulla della loro possibilità di esistere e giungere all’essere della loro nascita nell’amore di genitori accoglienti e gioiosi per la loro venuta.

Sicuramente, Gesù bambino fu un essere umano fortunato. È venuto al mondo per la gioia di Maria e di Giuseppe, per la gioia dei pastori, per la gioia di tutti gli esseri umani – “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace e gioia in terra agli uomini che egli ama” (Cfr. Lc 2, 14) -, così anche cantiamo a Natale.

 

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Già, la gloria di Dio! Carissimi, sapete cosa è la gloria di Dio? Non è quel sentimento di onore o di magnificenza che noi tributiamo a Dio, quando preghiamo e diciamo “gloria a Dio”. La gloria di Dio è la manifestazione del suo vero volto, il rendersi visibile, in modo radioso e bello, della sua natura intima. Ecco, la gloria di Dio è che egli è riconosciuto per quello che è, per come si vede: Dio è amore. La gloria di Dio è il suo amore manifesto e la manifestazione di quest’amore è la sua gloria. E ora ci chiediamo: dove si manifesta, dove si vede, quest’amore? Dove? Per poter noi riconoscere la gloria di Dio, dobbiamo venirlo a sapere.

Ecco dunque la bella notizia del Natale.

Quest’amore/gloria di Dio non si vede nelle “nostre glorie”, nei nostri successi, nelle nostre ricchezze, nelle nostre scoperte scientifiche, nella quali riconosciamo la nostra grandezza creativa o nei fenomeni naturali straordinari nei quali registriamo la nostra impotenza e dovremmo/potremmo contemplare l’onnipotenza di un dio!

Quest’amore/gloria di Dio si vede e si manifesta nel “piccolo che nasce a Betlehem”, testimone di quanto la piccolezza possa essere infinita e di quanto dallo “scarto” possa venire al mondo una benedizione cosmica che vale per tutti: per i pastori, anzitutto, ma anche per i magi; per i re, sicuramente, ma anche tutti i profughi del mondo; per i poveri, necessariamente, ma anche per i ricchi.

 

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Condizione indispensabile è che si riconosca il vero volto di Dio in Gesù di Nazareth e si veda in Lui la gloria di Dio. In Lui, cioè nella sua umanità che tutti possono “vedere”.

La fede è la vista per vedere quest’umanità e riconoscervi la gloria di Dio.

La religione non basta. Meglio detto, cattolicamente, è la religione che crede, è la religione che vive di fede, è la religione che rende la fede vivente, cioè operosa nella carità: fides quae per charitatem operatur /fede che opera attraverso la carità.

Senza carità la fede è morta e la religione è senza fede, è cioè con una fede morta, senza vita, perciò vuota, perché funziona non tanto con il volto di Dio manifesto in Gesù, ma con una maschera di Dio.

La religione senza fede è essa stessa una maschera umana, a disposizione di tutti i cattolici (vescovi, preti, diaconi, religiosi e religiose, fedeli laici, uomini e donne, ragazzi giovani e adulti) che non vogliono operare nella carità, ritenendo di potersi accontentare della ritualità sacra e delle preghiere, incuranti di quanto Gesù ha pur detto chiaramente: “Non chi dice Signore Signore entrerà nel Regno dei cieli, ma solo chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7, 21). Fare la volontà del Padre è amarsi con geti concreti ed eucaristici di amicizia, di solidarietà, di fraternità di amore.

Le opere di Misericordia corporale e spirituale (quest’ultime per essere “spirituali” non sono meno corporali delle prime e viceversa) sono allora a disposizione dei cattolici – anche ad Anno della fede passato – per continuare a dare “corpo alla fede” con una umanità personale e comunitaria rinnovate, affinché la gloria di Dio splenda nel mondo e venga apprezzata da tutti, perché vissuta come benedizione dai più.

 

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Nel cantiere della comunità di parrocchie, la stessa cosa vale per le nostre comunità parrocchiali. Le parrocchie, rimaste integre nella loro identità, sono chiamate a lavorare insieme, missionariamente, affinché tutti possano vedere la gloria di Dio, il suo vero volto, nel nostro amore reciproco e nel nostro amore per gli altri. La parrocchia è “la Chiesa vicina alla gente in un territorio”, con la parrocchia la Chiesa si fa prossima a tutti.  Tutte le nostre comunità sono perciò – come le voleva San Giovanni Paolo II -, “casa e scuola di comunione”. E lo saranno veramente perché diventeranno meno burocratiche e autoriferite e più missionarie.

Le “comunità di parrocchie” non fondono le parrocchie in una super parrocchia. Piuttosto uniscono le parrocchie in un unico movimento d’amore. Per le strade di un territorio, trasformano tutti in “esploratori della misericordia”, testimoni di una chiesa che non resta arroccata nel proprio recinto territoriale e nel proprio tempio. È invece una chiesa che va; è “chiesa in uscita”, secondo l’Evangelii gaudium di Papa Francesco. Chiesa che avanza: “e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia… La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo… Accompagna l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere” (Francesco, Evangelii Gaudium, 24).

Così, proprio in questo modo, non solo le singole persone, ma anche le parrocchie o le comunità possono “bruciare” le maschere umane di Dio e mostrare al mondo il suo vero volto, epifania in Gesù dell’amore che Dio è dall’eterno, della sua gloria.

 

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Da anni, carissimi, vi sto chiedendo di poter organizzare questa manifestazione dell’amore, con gesti eucaristici vissuti di Domenica, perché la Domenica è il giorno del Signore e, nel giorno del Signore, si raccoglie la comunità come “corpo del suo amore”. Dopo la celebrazione dell’Eucarestia, allora, si veda che questo corpo dell’amore di Dio – noi che ci siamo cibati del corpo di Dio-amore – travasa amore per le strade degli uomini, per le periferie esistenziali, costituite dalle nostre case che crollano nei terremoti del Centro Italia, ma anche dalle famiglie distrutte da ben altri cataclismi, dagli ammalati inchiodati nel letto del dolore, dai giovani disorientati da falsi modelli e stili di vita, dai profughi giunti sulle nostre coste e bisognosi di tutto, di pane, di vestiti, di carte telefoniche, ma soprattutto di relazione umana affettuosa, di amicizia e di accoglienza.

E facciamolo insieme e di Domenica, “perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 14-16). Rendano gloria, cioè riconoscano il vero volto di Dio, togliendo a Dio la  maschera umana impostagli –  più o meno consapevolmente – dalla religione senza fede che si appaga solo di “dire le preghiere con le labbra” (Cfr. Mt 6, 9) e non vuole invece praticare nella fede l’amore, la carità.

La vera preghiera, infatti, raggiunge il cuore di Dio e ci trasporta nel suo cuore e dal suo cuore in giù ci fa veder la disgrazia e le difficoltà, e il dolore e le sofferenze di tanti nostri fratelli, come anche lo scarto e l’estraniazione cui sono sottoposti uomini, donne, bambini e giovani, dal dominio del male nelle società dell’ipermercato.

Certo, tutto questo comporta la conversione di ognuno di noi, a partire dal Vescovo, ovviamente, insieme ai sacerdoti e diaconi, perché siano guide “coerenti” della radicalità dell’amore, cui il Padre ci chiama: i sacerdoti lavorino insieme, preghino insieme, insieme studino le forme pratiche per dare visibilità alla comunione della parrocchie in opere di carità, nelle quali solo splende l’identità della parrocchia. E se questo richiede “organizzazione”, tutti sappiamo che l’essenza della Chiesa non sta nell’organizzazione, ma nella comunione, frutto del perdono reciproco, del mutuo soccorso nelle difficoltà, del diventare insieme tutti “buoni samaritani”, vicini ai più poveri (sempre più poveri) chiedendo ai ricchi (sempre più pochi e sempre più ricchi) di cambiare vita, affinché sia più solidale e condividente.

 

Gesù viene al mondo perché tutti gli uomini possano incontrarlo e in Lui incontrare il vero volto di Dio, al di là di ogni possibile maschera che le “religioni senza fede” mettono “in faccia” a Dio.

– Incontrando Gesù, allora, la maschera del Dio violento che vuole le guerre e la violenza per parteggiare con alcuni contro altri, scade subito nella sua nullità: Gesù, infatti, vuole la pace e il perdono per tutti. In realtà, dobbiamo affermarlo per amore alla verità: solo nel Nuovo Testamento il credente non trova nessun appiglio per praticare il male, fosse anche per dare uno schiaffo al fratello. Gesù predica il perdono dei nemici diversamente dall’occhio per occhio dente per dente delle Scritture antiche. Anche il Dio delle preghiere dei salmi, quello che “con mano potente e braccio teso distrugge le nazioni e i popoli per fare spazio ad Israele” (Cfr. Dt 5, 11), ormai deve fare i conti con il Padre di Gesù – il vero volto di Dio – che invece si dichiara il Dio di tutti, il Dio-amore per tutti. Dunque, non solo l’Islam, ma tutte le religioni, anche il “cattolicesimo non credente” (che è una religione senza cristianesimo) deve finalmente venire a sapere che, in Gesù, Dio è solo un Dio di amore, di pace, di giustizia, di misericordia.

– Incontrando Gesù, ancora, il Dio che manda i terremoti, per punire chicchessia si suicida con le sue stesse mani. Ho avuto modo di osservare recentemente dopo le notizie costruite dalla stampa (viviamo oggi nel tempo della post-verità): “affermare che Dio manda i terremoti per punire, equivale ad ammettere, quasi con ragionamento scientifico, la non esistenza di Dio”. È vero. Il Dio che esiste mostra la sua gloria nel perdono e nell’amore, perciò non manda disastri naturali, non fa morire i ragazzi negli incidenti, soprattutto non vuole la sofferenza dei nostri fratelli e delle nostre sorelle con tumori e cancri.

– Incontrando Gesù, infine, sparisce il Dio tappabuchi, frutto immaginario di una religione irreligiosa che può far solo fare brutta figura a Dio in questo mondo. È questo un Dio a cui si ricorre solo nel momento del bisogno e che si crede di piegare alla propria volontà con preghiere, sacrifici, e fioretti. Altro è il vero volto di Dio in Gesù che chiede conversione in libertà, perché nella libertà dell’amore si possa rigenerare la propria vita mettendosi in gioco in gesti concreti di amicizia sincera, di solidarietà larga, di fraternità generosa: “Tu o padre non hai voluto offerte, sacrifici di montoni e di tori, tu o Padre mi hai dato un corpo e in questo corpo io vengo per fare la tua volontà” (Cfr. Eb 10, 5-7).

 

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Quanto è allora vitale incontrare Dio nel suo vero volto. È in gioco la nostra bella e buona umanità. Il cattolicesimo credente che incontra Gesù testimonia l’amore del Padre nella concretezza di esistenze che cambiano. Lo si vede non nelle idee o nei nostri pii sogni notturni, ma nei fatti di Vangelo che queste vite convertite riescono a “mettere al mondo”, cioè a generare. I cattolici credenti sono generativi, in tutti i sensi. Senz’altro nel matrimonio, ma in tutta la loro vita, generano amore nelle relazioni familiari, comunitarie, sociali, lavorative, economiche. Nel Piccolo di Betlehem, sanno di trovare la radice profonda e ultima di questa generatività. Anzitutto perché tutti noi siamo “figli di Dio nel Figlio di Dio, Gesù di Nazaret”, la cui generazione è eterna. In lui anche il nostro essere generati è eterno – predestinati in Cristo -, per cui non solo siamo stati generati, ma siamo da sempre generatività. Tutte le azioni di bene che riusciamo a mettere al mondo, dicono della nostra fecondità. È una generatività esplosiva e diffusa, quanto più l’essere umano incontra la “sua immagine e somiglianza”, cioè  Gesù di Nazareth, il vero volto del Dio-agape.

Si pensi allora al giovane ricco che alla fine non vuole cambiare vita. Si pensi ancora alla samaritana che vuole adorare il Dio vivente in spirito e verità, secondo l’annuncio di Gesù. Si pensi infine a Zaccheo che cambia e dona metà dei suoi averi ai poveri e se ha rubato a qualcuno restituisce quattro volte tanto.

E perché Zaccheo e la samaritana si convertono?

Perché hanno incontrato in Gesù il vero volto del Dio vivente: un Dio accogliente, che perdona, che ascolta e si piega sulle ferite umane per sanarle con il balsamo della misericordia. Oltre il formalismo religioso, oltre il perbenismo degli ipocriti mascherati di religione, oltre ogni sacralità che separa puro e impuro, Dio si manifesta come amore, solo amore e sempre amore in Gesù.

 

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In Avvento si cammina verso Natale. Si cammina verso l’apertura degli occhi – si matura nella fede – per poter in quella grotta riconoscere il vero volto di Dio, cui assomigliamo. È un cammino di discernimento, dominato da un interrogativo innestato nel profondo del cuore: “assomiglio veramente a Gesù?” Tradotto per tutti: “sono veramente un uomo?” Gli uomini del ventunesimo secolo restano umani, sono umani, cioè assomigliano a Gesù? Il presepe diventa allora non solo un momento per la pietà personale, ma piuttosto per la critica sociale, per una rivoluzione culturale. Assomigliare al Gesù è l’urgenza per recuperare l’amore tra gli esseri umani, la pace, il rispetto dei diritti umani, il riconoscimento della dignità umana di tutti, la cura per il nostro habitat terrestre, la nostra casa comune, come ben ci dice Papa Francesco nella Laudato si, la comunione nelle parrocchie, l’amore coniugale fedele e indissolubile nelle famiglie, con l’attenzione a tutti i legami soprattutto a quelli più deboli o offesi, come amorevolmente insegna sempre Papa Francesco in Amoris Letitiae.

Mi piace riportare, concludendo, il testo di un’ultimissima canzone di Renato Zero nel suo recente CD, intitolato ALT.

Parla proprio di questo:

 

Gesù 

 

Lenti /Si naviga lenti

Il progresso ci ha spenti già

Via/ Tutti quelli entusiasmi

Nessuno che esulterà

L’arca si è arenata pure lei

Tempi bui un po’ per tutti noi

La speranza non ci basta più

Poveri uomini/Poveri

 

Gesù/ Non ti somigliamo più

Gesù/ La rabbia è colpevole

Come mendicanti/ Trasmigriamo ormai

Attraverso monti mari e pericoli

Gesù/ Oggi niente miracoli

Mai più/Il coro degli angeli

Ora/ Odore di guerra/ La terra in ginocchio stà

Soli/ Più soli di sempre

Il cuore non ce la fa’

 

Tanta vita d’amore e di poesia

Un pane appena cotto e l’armonia

Tutti intorno al fuoco adesso no

Che il cielo stemperi/ Gli animi

Gesù/ Hai smesso di crederci

Gesù/ Sei ancora con gli ultimi

Aiutaci fratello/ un’altra volta puoi

Che oramai questo fardello è insopportabile

Gesù/Gli innocenti ti implorano

Gesù/Gli infedeli ti umiliano

 

Era un mondo incline alla bellezza

al rispetto alla purezza

Forse troppo giusto lui

Finché l’odio intanto non cresceva

con l’avidità fondava una assurda gerarchia

Gesù/La natura ha i suoi limiti

Gesù/Chi avvelena i tuoi pascoli

Fiumi ormai interdetti/Discariche laggiù

Ciò che credevi un orto è deserto che avanza

Gesù/Siamo colpevoli

Gesù/Se potrai ancora farlo tu

Perdonaci/Perdonaci

 

Auguro a tutti un santo Natale e un felice Anno nuovo, nella riscoperta della fede cattolica in tutta la sua bellezza, quella delle opere di misericordia da fare perché la salvezza entri nelle nostre case e dia gioia alle nostre famiglie e alla famiglie di tutto il mondo.

Ci accompagnino in questo cammino di maturazione nella fede, alla scoperta sempre meravigliata del volto vero di Dio, Maria santissima, Scala al paradiso e San Corrado Confalonieri, nostri patroni.

Di cuore, con affetto,

 

 

+Antonio

 

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