Mons. Antonio Staglianò, si sa, non è più vescovo di Noto. E qualcuno inizia a togliersi, dopo anni, qualche sassolino dalle scarpe.

“ll Vescovo che vorrei” è questo il titolo di un post molto garbato ed elegante, così come d’altronde è stato nel suo stile di prelato ma anche di giornalista, di Don Umberto Bonincontro. Egli, sul suo profilo Facebook, traccia l’identikit perfetto del nuovo vescovo di cui la diocesi di Noto avrebbe bisogno. Fin qui nulla di strano. Tutt’altro. A molti però, magari cadendo in errore, ma ne dubitiamo, è sembrato invece che Don Umberto abbia tracciato la figura del vescovo uscente e di come egli in tutti questi anni, non sia assolutamente stato. Non è infatti un mistero che la sua conduzione della diocesi sia stata molto discussa e poco apprezzata sia dal clero netino che dai laici. Sono state tante e molte le critiche mosse al suo operato e, adesso che formalmente non è più vescovo della diocesi di Noto, cominciano a venire a galla e quindi ad essere ufficiali le prime prese di posizioni contro un vescovo che tutto può dirsi fuorchè esser stato amato dalla sua diocesi. Ecco il testo del post di Don Umberto.

Per l’elezione di un vescovo, fino al V secolo, era il popolo (laici e preti) che sceglieva il nuovo pastore, oggi si segue una prassi diversa. L’elezione del vescovo avviene nel massimo segreto. Non si fa una verifica della situazione della diocesi, non si accettano desideri e richieste della Comunità. L’elezione è di nomina pontificia, ma Papa Francesco non può conoscere i candidati, può dare solo indicazioni. E allora entrano in scena a volte raccomandazioni e perfino cordate maturate nel corso degli anni. Motivo per cui, non di rado, vengono scelte persone poco adatte, spesso ambiziose, carrieriste e così a pagarne le conseguenze è la Comunità. Il Papa, speriamo al più presto, nominerà il nuovo Vescovo di Noto che succederà a Mons. Antonio Staglianò, nominato Presidente della Pontificia Accademia di Teologia. Auspichiamo che la scelta risponda ai reali bisogni della diocesi, che venga scelto un autentico “uomo di Dio ” che ama e si faccia amare da tutti, senza alcuna esclusione. Un uomo, profondamente umano serio, di parola, onesto, lineare, pulito, paziente, dialogante, speranzoso, amico dei più fragili… un uomo immerso nel presbiterio e nella vita del popolo di Dio, capace di intessere relazioni di comunione e di indicare la direzione verso cui volgere lo sguardo, attento alle singole persone e rispettoso di tutti, disponibile a dare una mano a chi è caduto e di spronare chi si è fermato Un uomo che si lascia, anche, aiutare, perché umilmente consapevole delle sue fragilità. Insomma, un uomo che abbia il cuore inzuppato d’amore per Dio e per il suo Popolo. Un uomo di fede che ama la Chiesa e la serve con generosità (1).. Un credente che sia anche, e soprattutto, credibile. La diocesi attende un vescovo-pastore, un vero padre capace di ascolto e di dialogo, disponibile alla collaborazione con le molte realtà della diocesi, sempre in ascolto di tutti preti e fedeli, e non di alcuni soltanto. E’, infatti, attraverso l’ascolto e la comunione vissuta, che il Vescovo è chiamato a guidare il Popolo di Dio che gli viene affidato. Il Vescovo, per questo, abbia cura nella scelta dei suoi collaboratori, ad iniziare dal Vicario generale. Nel processo di selezione, le variabili sono così numerose e talvolta imprevedibili, che un vescovo saggio deve avere l’umiltà di porvi rimedio quando si rende conto di un errore evidente. Un vescovo deve avere delle motivazioni nobili nella scelta dei collaboratori. Non è sufficiente cercare di ‘accontentare’ o di compiacere. Il fallimento di un episcopato dipende da tanti fattori, ma anche dalla scelta dei collaboratori. Vanno tenuti alla larga quei preti carrieristi, che attendono il nuovo vescovo, per salire sul carro del vincitore. Il carrierista nella Chiesa c’è sempre stato. E si riconosce anzitutto per la sua mediocrità. Egli appartiene ad una delle categorie umane più ripugnanti, forse una delle più ciniche. Egli sa che deve arrivare dove vuole arrivare, a costo di vendersi, che sta con il suo capo fino a che è sull’altare, ma l’abbandona quando lo vede sulla polvere. La Sinodalità, che è l’identikit della Chiesa, e a cui tanti vescovi e presbiteri non credono, contribuirebbe a controllare e a stemperare quei sentimenti tanto comuni nelle Comunità quali l’invidia e la gelosia. A tal proposito Papa Francesco dice: ”La persona invidiosa, la persona gelosa è una persona amara: non gode del bene che ravvisa nell’altro, non sa lodare, non sa cosa sia la gioia, perché guarda solo ‘che cosa ha quello e io non ho’. Un altro atteggiamento tipico della gelosia e dell’invidia, sono le chiacchiere per abbassare l’altro. Le chiacchiere dividono la comunità, distruggono la comunità. Sono le armi del diavolo”.

(1) Come ha scritto don Giuseppe Alcamo del clero di Mazara del Vallo in occasione della nomina del nuovo Vescovo ( la citazione di don G. Alcamo va da”un uomo profondamente umano, serio….fino a(1) che era in corsivo ma che fb ha annullato)

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