MEDIAZIONE E PROCESSO

Si racconta che, in tempi che furono, un giudice, di fronte a due fratelli che si contendevano l’eredità di una casa con un grado di emotività molto elevata, alla fine esclamasse: “la casa non è di nessuno dei due, ormai è di proprietà degli avvocati!”.

In effetti, il risultato cui a volte porta la conclusione di un processo civile è di accertare con esattezza la titolarità di un diritto o di un fatto, ma a costi sproporzionati rispetto al valore del bene in contestazione. Ciò perché il fine di un processo è l’accertamento del diritto e non degli interessi di cui si discute. Spesso, se si riuscisse ad eliminare l’emotività della contesa, sarebbe molto più utile agli interessi di entrambi i contendenti arrivare ad un accordo, piuttosto che ad accertare la titolarità del diritto o del fatto in contesa.

La riforma della mediazione civile, introdotta quale fase pregiudiziale, facoltativa o obbligatoria, al processo civile, ha proprio come obiettivo principale quello di ridurre il flusso in ingresso di nuove cause nel sistema giustizia, offrendo  al cittadino uno strumento di risoluzione delle controversie più semplice, veloce, con tempi e costi certi, in sintesi, più conveniente.

La mediazione è l’attività professionale, svolta da un terzo imparziale, finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa.

Al fine di una esatta comprensione della nuova normativa in materia di mediazione nelle controversie civili e commerciale è necessario chiarire il rapporto tra mediazione e processo civile.

Mentre il processo tende ad accertare la situazione giuridica di fatto e quindi la titolarità dei diritti in capo ai contendenti, la mediazione è il procedimento finalizzato a favorire la composizione stragiudiziale della lite, anche attraverso un sistema d’incentivi e disincentivi di tipo economico. L’istituto giuridico della mediazione  imprime un mutamento di direzione alla controversia: non si tratta più di tracciare una netta demarcazione tra torto e ragione, ma di raggiungere una soluzione condivisa, che guarda all’interesse finale  e risulti soddisfacente per entrambe le parti.

Non più quindi una parte vittoriosa e una soccombente, ma due parti tra loro conciliate.

In quest’ottica l’obiettivo al quale tende il procedimento di mediazione è la conclusione di un accordo amichevole tra le parti della controversia. Compito del mediatore è quello di facilitare una conciliazione spontanea degli interessi in conflitto, che assicuri ad entrambe le parti un risultato pienamente soddisfacente, che esse non avrebbero potuto ottenere attraverso il processo.

Con la mediazione, nella storiella di cui sopra, forse nessuno dei due otterrà l’intera casa, magari spendendo per la causa più di quanto vale la stessa casa, ma ottenendo di meno, ad esempio metà ciascuno della casa, spenderà per la mediazione una somma irrisoria.

La mediazione allora, oltre che sistema finalizzato allo sfoltimento del lavoro giudiziario, diventa scelta di civiltà nella soluzione delle controversie tra cittadini. Già da tempo il mondo delle imprese aveva abbandonato, perché antieconomico, il sistema di soluzione delle controversie, rivolgendosi all’arbitrato o alla soluzione stragiudiziale delle controversie. Ora se la mediazione viene accettata e fatta propria come scelta preferenziale dai cittadini, e dagli avvocati, può essere l’occasione di un salto di civiltà per la società e di maggiore ricchezza del sistema economico generale (meno per i guadagni degli avvocati).

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