MAZZETTE DALL’ODORE DI MORTE

 

Avevamo già scritto su Taranto, dell’Ilva. Quest’estate se ne parlava è vero, ma nel clamore dei gossip estivi e delle olimpiadi londinesi, la notizia quasi perdeva forza; era come se nell’opinione pubblica non ci fosse contezza di quale tragedia si stesse consumando in una delle terre più belle d’Italia, devastata da una politica industriale miope e sconsiderata.

Politica sconsiderata dicevo che ha ignorato l’allarme dei sanitari; politica sconsiderata e colpevole che si è alimentata della corruzione e del silenzio omertoso di chi aveva  interesse che le cose non cambiassero.

 Avevano l’odore della morte quelle mazzette consegnate a chi doveva fare una relazione sui danni da diossina, un odore di morte che ha accomunato non solo   chi riceveva  e chi dava ma anche chi sapeva  e taceva. Sarebbero bastati solo  10 mila euro per ‘ammorbidire’ una perizia sulle emissioni del siderurgico.

Oggi in ogni telegiornale la stessa cronaca, gente disperata che non vuole andare via, ma andare dove se non c’è lavoro, se non c’è futuro. ” Non c’è scelta, non c’è futuro senza questa fabbrica. Dove  si può andare, qui abbiamo tutto, non possiamo vendere perché nessuno vuole le case del quartiere Tamburi o ce le vogliono togliere per un pezzo di pane.” . A Tamburi si dice  ci sono «18mila morti viventi”, “ma l’’Ilva è la nostra sola fonte di sopravvivenza. E se l’Ilva mi chiamasse io andrei immediatamente”. Nell’ordinanza di chiusura  il GIP concludeva  che “chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato nell’attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza”.

Disastro ambientale di proporzioni estreme, che ripete quanto già visto altrove   e che continua ad essere in tante zone della nostra Italia.

E poi, quando la fabbrica che tanto ti ha illuso non ti sfama più e ti manda a casa, devi solo sperare di non essere tra coloro che essa  ha condannato a morire (nda “i dannati del mesioteloma” pubblicato il 18 maggio 2012).

I dirigenti dell’Ilva, contriti e pentiti, hanno varato un piano di recupero, stanziato dei fondi per un parziale risanamento che permetta agli impianti non a caldo di continuare a lavorare durante i lavori di bonifica, ma il gip di Taranto ha giudicato  insufficiente il piano di risanamento proposto dall’azienda. Per gli  operai e per l’indotto  è stata una gelata.  Angeletti a nome del  sindacato parla di catastrofe. La protesta è sempre più contraddittoria, sempre più disperata.

Ci si interroga su  quale sia  la strada giusta, il lavoro  o la salute, ma la scelta è sempre più radicale e difficile. Michele Riondino in diretta tv ha strappato la sua tessera elettorale.

 Risulta difficile credere ancora in uno Stato che non ottempera ai principi costituzionali fondanti che garantiscono la tutela del lavoro e della salute.

                                                                                                                                                                          

 

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