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Matriarcato in Sicilia, fra mito e realtà
08 Mag 2022 09:42
Partiamo dai proverbi siciliani: Cu’ avi mala donna pri cumpagna, avi lu priatoriu a stu munnu, Tali matri, tali fighia, va ‘bbiassi ‘nta larigghia…
E via dicendo. Ce ne sono davvero un’infinità che danno un’immagine per certi versi poco lusinghiera delle donne. Ma la donna, che spesso è anche madre, è stata davvero così repressa in Sicilia? E soprattutto, qual era veramente il suo ruolo all’interno della famiglia? Ci apprestiamo a celebrare la festa della mamma, e oggi questo ci sembra lontano come il medioevo. Tuttavia, affidandoci principalmente a fonti letterarie, a chi sa leggere fra le righe di illustri autori, appare come in realtà era molto più complessa la famiglia siciliana.
Non vi era forse una forma di matriarcato? E tutto questo non va in controtendenza con il mito che narra di una Sicilia arcaica che vede la donna relegata in casa, figura secondaria buona solo a servire un uomo e ad accudire i figli?
C’è molto altro, in realtà. Il prototipo della figura femminile conosciuta dal grande pubblico è sicuramente quella tratteggiata da Sciascia, che certamente crede molto al matriarcato. Nel 1974 fece scalpore una sua intervista rilasciata a Franca Leosini per “L’Espresso” in cui dichiarò: “Ritengo che molti mali della Sicilia siano imputabili al dominio femminile. La donna consiglia viltà, opportunismo, prudenza. E l’uomo obbedisce”. Parole che in un’epoca in cui il femminismo andava per la maggiore, lasciarono sgomenti. In realtà c’è del vero nella questione del matriarcato affrontata da Sciascia solo che, magari, la faccenda era un po’ più complessa. E allora forse vien da pensare che anche il matriarcato sia una forma di perpetuo maschilismo, dove le donne consolidano il loro potere all’interno della famiglia per lasciare agli uomini il vero potere, intoccabile.
L’organizzazione delle famiglie contadine era praticamente a caste. A capo vi era quasi sempre una “nonna” e ricordiamo che era diffusissima la vedovanza femminile, soprattutto perché spesso queste donne non si risposavano per non dare adito a maldicenze.
E la vecchia matriarca è di solito una donna autoritaria, dispotica, decide tutto: matrimoni, affari, perfino i testamenti. Anche nomi di battesimo e la scelta dei padrini. La cosa interessante è che le altre donne della famiglia non stanno meglio dei maschi. Tutt’altro: sono donne non amate dalla matriarca, quasi avvertite come un peso.
Di solito è il nipotino maschio primogenito del primogenito della famiglia che monopolizza tutta l’affettuosità della matriarca – nonna.
Abbiamo esempi di questo tipo anche in altre opere letterarie, come nei Vicerè di De Roberto, dove la vecchia Matriarca, Teresa Risà, una volta morta, scatena una vera e propria guerra in famiglia anche se la vicenda narrata da De Roberto parla di una famiglia nobiliare. Tuttavia ci sentiamo di dire che il principio “matriarcale” era sostanzialmente lo stesso.
La donna in Sicilia, almeno fino a circa cinquant’anni fa, era solo mamma all’interno della famiglia dove gestiva un potere assoluto?
Forse. Ma non solo. A proposito di proverbi, ne citiamo un atro, decisamente in contraddizione con i primi a cui abbiamo accennato: “Na fimmina, na pàpira e un tammùru fanu succèdiri a rivoluzione”.
Probabilmente l’origine del motto risiede nella guerra del Vespro, quando pare che la scintilla partì dall’urlo di una donna palermitana molestata da un soldato francese con l’intenzione di perquisirla. Questo ci dice già qualcosa: le donne, almeno in tempi medievali, partecipavano ai moti rivoluzionari, come le eroine messinesi Dina e Clarenza che nel 1283 difesero la loro città dall’assedio dalle truppe di Carlo I d’Angiò.
Ma basti ricordare anche Peppa La Cannoniera, personaggio catanese quasi leggendario a cui è stata intitolata pure una via, che nel 1860 conquista un cannone e lo fa piazzare nell’atrio di un palazzo, divenendo così emblema della partecipazione popolare all’insurrezione contro i Borboni.
Ma anche alla ragusana Maria Occhipinti che, il 4 gennaio 1945, al quinto mese di gravidanza, si sdraiò sulle rotaie di un autocarro militare opponendosi alla nuova leva di giovani siciliani chiamati a partecipare alla guerra.
Tutte queste figure a limite fra storia e mito, erano anche madri. E allora la famiglia matriarcale sì, certamente, ma la storia siciliana è anche costellata di donne che hanno attivamente partecipato alla vita sociale, alle guerre, ai moti rivoluzionari.
Pensiamo a Virdimura, la prima donna al mondo ad esercitare la professione medica, una catanese di religione ebraica che, nel 1300 seguì la professione del marito per mettersi al servizio dei poveri e dei bisognosi della città etnea.
E pensiamo a Francesca Mirabile Mancusio, la prima donna ad aver conseguito la patente. Era di origini messinesi, precisamente di Caronia. E’ stata la prima donna ad aver conseguito la patente in Italia nel 1913.
E ancora a Francisca Massara, la prima donna in Europa ad indossare i pantaloni, nel 1698, e a Maria Paternò, prima donna ad ottenere il divorzio, nel 1808, o Franca Viola che negli anni ’60 si ribellò al matrimonio riparatore. Matriarcato? Certo. Ma c’è anche tanto altro. In questa breve carrellata abbiamo citato soltanto le più note e famose e sono tutte siciliane che hanno stabilito un record in qualche modo. E quindi, l’eterna contraddizione della Sicilia: da un lato, il mito di una donna repressa, relegata al ruolo di moglie e madre. Dall’altra, quello di una donna ribelle e libera.
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