MARZIA SCHENETTI RACCONTA: LA DONNA E L’ARTISTA

Marzia Schenetti, nata a Reggio nel 1965, diplomata in canto lirico e grafica pubblicitaria, è autrice di poesie e canzoni.

Nel 1994 apre un’azienda nel settore artistico e fa l’imprenditrice per quindici anni, fino a quanto non incontra il gentiluomo.

“Il Gentiluomo”, una storia di stalking,romanzo d’esordio di Marzia Schenetti, si apre con il primo appuntamento tra Matilde e Marco, un uomo apparentemente galante, cortese e pieno di attenzioni. Già al termine di questo incontro, però, Matilde avrà l’impressione che tutto quello che le darà Marco avrà un prezzo, che ogni briciola di dolcezza dovrà essere ottenuta con grande sforzo.

 È l’inizio di una storia di stalking che racconta l’esperienza di vita dell’autrice vittima di un uomo, inizialmente gentile, successivamente pericoloso.

Pubblicato dalla Casa Editrice Il Ciliegio a Gennaio 2011 verrà presentato il 20 febbraio 2011 alla Fiera del 

l’autrice porterà la sua testimonianza in diversi eventi in collaborazione con associazioni antiviolenza, per ricordarne alcune:  a Reggio Emilia con l’associazione Nondasola, a Guastalla con l’Associazione Donne Bassa Reggiana,  a Caserta con Noi Voci di Donne.

Marzia Schenetti  è stata ospite a Rai 1 durante il programma “ La Vita in diretta” , a “  Domenica  In “, a “Casa Perego” e infine a  La 7  nel programma “Parodi Live”, condotto da Cristina Parodi.

Ricordiamo, inoltre,  la presentazione che si terrà  nei giorni  19 – 20 Ottobre 2012 nell’ambito di un progetto più ampio destinato alla sensibilizzazione  sociale.

 

 

 

Intervista a cura di Liliana Russo

 

Lo stalking è un termine che comprende una vastissima gamma di molestie di cui una donna, generalmente, ma anche un uomo  possono  essere vittima:

Quando inizia la storia di stalking che ti vede protagonista nel tuo Romanzo di esordio  “Il Gentiluomo” ?

 

“Profili di “stalker” ne sono stati fatti almeno 5  dal “bisognoso d’affetto” che si aggrappa ossessivamente alle persone, al “corteggiatore incompetente” al quale mancano gli strumenti per relazionarsi in modo normale, il “respinto” che spesso rientra in ex che oscillano tra il volere riconquistare al volersi vendicare dell’abbandono, il “predatore sessuale”  e il “risentito” ex partner che cerca di vendicarsi e distruggere l’oggetto perso.

Ho fatto questa premessa perché il mio caso di stalking lega diverse tipologie, in quanto soggetto seriale quindi predatore , respinto e risentito.

Il gentiluomo nulla tenente e nulla facente da una vita, ha vissuto da truffatore dalle tante identità e fantomatiche attività con un’unica costante, sempre una donna vittima presente e una preda in preparazione.

La mia storia inizia nel 2006 quando conosco questo individuo su una chat, ma chiudo la conoscenza dopo un incontro per alcuni fattori precisi: principalmente i suoi modi mi sembravano esageratamente teatrali. Poi nelle diverse conversazioni sia scritte che telefoniche parlava ossessivamente di un’altra donna.

Se per me questa conoscenza si era chiusa, per lui, rappresentavo  la preda di domani. Si ripresenta dopo due anni, dopo avermi osservata , studiata, dopo aver preparato nei minimi termini con una geniale, fredda e diabolica premeditazione in ogni dettaglio . Ogni dettaglio che inizialmente mi avrebbe potuto rassicurare, ed ogni dettaglio che mi avrebbe successivamente incastrato nella sua infernale ragnatela.

Questo è lo stalker seriale “.

Siamo abituati a storie di stalking di uomini ai danni di donne, ma nella realtà  accade anche il contrario:

 Quando è una donna lo stalker pensi che la tipologia di reato sia diversa e la percentuale delle donne stalker minore rispetto alla percentuale degli uomini stalker?

 

“La percentuale di stalker donne si aggira intorno al 5%.

Credo però ci siano delle considerazioni da fare:

intanto la cultura femminile ci porta a comportamenti diversi da quelli maschili, esempio è più difficile rivestire per una donna la parte di riconquistatore, o di quella che rincorre qualcuno, perché culturalmente ci hanno insegnato ad essere scelte.

Esistono comunque stalker donne, credo che più spesso lo stalking femminile si rivolga ad altrettanti soggetti femminili.

Ovviamente lo stile di una donna è più sottile e soprattutto poco considerato dall’uomo, per impatto materiale, e quindi  di minaccia,

Credo che questo sia anche il fattore per cui i dati siano così bassi rispetto a quello che  penso invece sia la realtà. L’uomo che è soggetto di stalking ha sicuramente un impatto diverso . Arriva a prendere provvedimenti fino alla denuncia solo quando lo stalking va ad attaccare spazi ritenuti sotto una logica maschile, importanti, quali può essere una relazione ufficiale, la famiglia, una professione o posto di lavoro a rischio….la sua immagine pubblica. O se no tende a resistere  ai comportamenti persecutori.

Voglio anche aggiungere che purtroppo la legge sullo stalking è risultata spesso strumentalizzata, riempendo di carte e lavoro le questure inutilmente e portando via spazi, energie, e soprattutto credibilità a casi di effettivo stalking.

Purtroppo qui interviene l’individuo femminile più spesso, che fa abuso di questo strumento “.

La violenza può essere perpetrata in diversi modi, la preda, di fatto, può essere  vittima di violenza fisica , violenza psicologica od  economica:

Secondo te , la violenza perpetrata ai danni di  un individuo, o di una donna, è legata ad una patologia sociale, culturale o psichica  ?

 

“ Rientrano perfettamente tutti  e tre.

Patologia sociale, patologia culturale e patologie psichiche. La nostra società è il derivato di secoli di cultura maschilista di cui la donna è rimasta per anni la prima promotrice di questa stessa cultura. Attualmente poi stiamo vivendo un momento drammatico dove vige il caos e la confusione di ruoli. Lo sfacelo sociale e dei nuclei familiari stanno sicuramente aggravando quello che sarà l’evolversi.

La violenza è un virus. Molte patologie caratteriali sono legate da esperienze traumatiche vissute nell’infanzia e nell’adolescenza.

Esempio “l’abbandono” non digerito porta poi nell’adulto a tratti che sfociano spesso nello stalker: il controllo delle situazioni e delle persone”.

Paola, uccisa per troppo amore

La mamma della vittima: ” Ho pietà di Pierino, le voleva bene davvero ” Corriere della Sera

Pensi che i Mass Media alimentino una “ cultura di resistenza “ del concetto di amore malato ?

 

“Ci sono due opzioni : o i media sono così controllati premeditatamente  per fare resistenza o nonostante decenni di lotta contro la violenza alla donna , resiste l’ignoranza.

Ho paura che sia proprio la seconda opzione.

Il tema della violenza è così legato con la cultura sociale da  rendersi difficile la comprensione per chi non ha visto e toccato da vicino cosa sia veramente. Si circoscrive il problema intorno alla donna, alla sua vita, alla sua relazione, perché questo semplifica, giustifica ed è una risposta di facile lettura  sociale. Non si entra invece nel vero male che è quello della libera identità femminile non ancora accettato anzi meglio dire  ancora ignorato.  “

Occorrerebbe una accurata indagine e una profonda    analisi sulle pene inflitte a uomini e donne per la stessa tipologia di reato  al fine di scoprire “riserve di trattamento” a favore dell’uno o dell’altro

Pensi che una donna stalker goda un trattamento di privilegio rispetto ad un uomo per la stessa tipologia di reato ?

 

“Si credo sarebbe veramente interessante fare uno studio sui casi  nazionali. Per quello che ho seguito a livello di cronaca regionale posso dire che quando è uscita la legge sullo stalking febbraio 2009, c’e’ stato un anno di cronaca quotidiana di arresti simultanei di stalker uomini, poi via via si sono diluiti e anche i giornali spesso soprattutto l’anno successivo hanno dato risalto a casi di stalker donne e di certo non sono state usate riserve di trattamento.  Ricordo un caso di una donna che per solo due lettere era stata arrestata sul posto di lavoro e fatto due notti dentro ….Stalker donna sicuramente risalta di più come notizia, ma esistono e non ci devono essere differenze di trattamento”.

I mass media , possono essere responsabili nell’ostacolare l’evoluzione dei processi di svolta culturale, attribuendo  alle ex   vittime  il ruolo di vittima  senza via di uscita:

Cosa ne pensi?

 

Beh penso che chi sceglie di fare il giornalista dovrebbe avere come obiettivo quello di portare cultura, informazione e rinnovamento sociale. Per questo dovrebbe essere sempre un passo avanti per farsi promotore di miglior cultura. Oggi più che mai combattiamo contro le testate giornalistiche per come ancora viene giustificata a grandi titoli una violenza, confermando una cultura ferma a 50 anni fa. Questo per prima cosa. Poi la domanda che veramente bisogna iniziare a farsi è “cosa è informazione?” Informare o capacità di odiens? Riguardo al tema violenza ritengo di estrema importanza  dare spazio nel tempo. Una vittima che sopravvive alla violenza non si ferma su un titolo di oggi ma le aspetta un percorso ancora lunghissimo. E allora cosa ci si aspetta di vedere  di questa donna? Solitamente i tempi dalla denuncia a un processo(quando va bene) sono intorno ai 3 o 4 anni …. Questa donna come vive in quegli anni? Quale percorso vorrebbe e le aspetterebbe di diritto per riavere la propria dignità sociale e cosa invece esige la nostra bassa e ignorante cultura sociale? E su questo, che ruolo hanno e dovrebbero avere i media?

Quali strumenti possono essere validi a realizzare una svolta culturale:

La tua esperienza come ha cambiato la tua vita, dopo, anche in rapporto alle resistenze culturali che prevalgono ancora ed incidono sulla relazione tra uomo e donna ?

 

“ Il percorso di ricostruzione l’ho vissuto e lo vivo come una serie di passaggi che spesso mettono a dura prova l’equilibrio che si costruisce man mano. Lo definisco sempre un equilibrio instabile proprio perchè resta comunque una lotta continua e basta poco per risentire. La mia storia poi ha lasciato molti segni per la violenza psicologica proprio perché la “potenza” della serialità di questo individuo, la sua capacità di giocoliere con le vite altrui ha lasciato un senso profondo di diffidenza. Rendersi conto di essere stata un giocattolo in mani diaboliche, accettare di aver pranzato, cenato, dialogato con persone che non erano altro che burattini malpagati o altre persone manipolate, mi ha lasciata comunque in uno stato di dubbio che spesso ha precluso e preclude la mia esistenza.

Poi c’è il fattore “normale”, si resta attenti, come viaggiatori con un’enorme lente d’ingrandimento. Intolleranti e spaventati da ogni minima sfumatura di aggressività psicologica.

Poi restano i conti e le scelte di tutti i giorni. Per una donna che ha subito violenza non c’e’ solo l’esterno sociale ma anche la stessa propria intimità culturale.

Decidere di riconquistare, per esempio,  la propria femminilità è pure quello un percorso lungo e insidioso.  Per molto tempo ho vestito camuffando  la mia femminilità, decidere di nuovo per un vestito piuttosto che un pantalone mimetico, decidere di dedicare tempo alla donna piuttosto che alla ex vittima, sono lotte pure quelle che partono da dentro per la cultura dalla quale deriviamo mescolata alla violenza subita e sfociano poi nello scontro con una società del tutto impreparata, in grado di comprendere e concepire solo colori lividi e non una vera rinascita “.

“ IL Gentiluomo” il sottotitolo una storia di stalking :

Quanto dell’artista e quanto della donna ?

 

Cercando di tornare a due anni fa almeno, e rivivermi per lo stato in cui ero,  mi verrebbe istintivamente da rispondere che ha scritto la donna. La donna di quel momento. Ma poi, penso a quanto importanza ha la creatività nella mia vita e nel mio modo di affrontarla e  credo che pur limitata dalla viva sofferenza di quel periodo, pur deformata dalla rabbia ancora forte di quei giorni, la forza prorompente, l’energia è sicuramente dell’artista. Per questo sono pienamente convinta che l’arte o meglio il collegamento con la propria anima creativa sia una fonte di salvezza, sia l’energia che veramente può trasformare il dolore in stato di espressione.

La violenza è una malattia sociale che attraversa le generazioni, i generi e i diversi strati sociali:

Quanto di soggettivo e quanto di oggettivo descrive “ IL Gentiluomo” ?

 

“Il gentiluomo è la mia storia  e quindi soggettiva anche  dal punto di vista emozionale. Però devo dire che ho cercato con grande sforzo di essere a tratti al di fuori e per questo da un certo punto del libro c’è una chiara divisione di scrittura tra il soggettivo e l’oggettivo. Matilde e la valigetta, la donna che prende consapevolezza della tragedia e la valigetta, la tragedia stessa. Il prorompente caratteriale  del soggetto  in lotta quotidiana con il “prodotto” del gentiluomo.

La storia prosegue fino a rientrare nei contesti generali delle situazioni. Gli ambienti e i passi riconoscibili da tutte le donne che vivono queste situazioni.

La questura, la caserma, l’avvocato, il medico. L0ggettività del percorso duro, impervio, e considerevolmente lento e insufficiente per una rapida evoluzione degli eventi”.

La violenza e la sopraffazione restano rinchiusi nel silenzio e nella sofferenza di molte vittime:

quanto  occorre ancora per “sdoganare” dalle mura domestiche la libertà violata delle vittime  e  far emergere i loro diritti?

 

“ Sdoganare è un termine più che appropriato , portare oltre al confine.

Il confine determinato dal nostra stato sociale e dalla bassa cultura sul tema della violenza.

Ci sono due fronti principali da affrontare: lo stato emotivo della vittima, la ricostruzione della sua identità e dignità di persona e di donna, e tutto il contesto materiale d’impatto concreto e non astratto che quella stessa donna deve affrontare .

Dal punto di vista culturale ritengo che siamo veramente lontani dal concepire e riconoscere quali diritti la ricostruzione esistenziale di una ex vittima. Se poi mettiamo in contrapposizione i tempi infinitamente lunghi della giustizia, anni, riscontriamo nella nostra società un riconoscimento della vittima insieme alla tragedia, solo attraverso l’immagine ferma, statica del momento della tragedia stessa. Socialmente si identifica per paradosso  con più facilità la vittima uccisa, perché resta ferma per sempre, e per ogni volta che se ne parlerà l’immagine di tragedia con l’impatto emotivo di riconoscimento resta il medesimo. Questo è ciò che però per cultura ci si aspetta anche da quelle donne, che sono fortunatamente la maggioranza, che riescono a salvarsi. Ma a quel punto come immortalare la tragedia? Dopo anni di pene e dolori, di insidie, di paure, di lotte alla vergogna ai sensi di colpa, un’ ex vittima è ancora e maggiormente soggetta ai giudizi.

Allora la domanda è, “veramente la nostra società è preparata a riconoscere la violenza subita? E veramente è pronta a riconoscere il diritto alla ricostruzione della vita di questa donna?

E proprio collegandomi a questa ultima domanda, alla quale senza ombra di dubbio io rispondo no, non è pronta, mi riporto sull’altro fronte quello materiale.

Se realmente la nostra società fosse stata pronta per riconoscere e quindi occuparsi della ricostruzione della vita di una donna sopravvissuta ad una violenza, avrebbe sicuramente operato per colmare buchi abissali di percorso.

Per nulla togliere a tutto quello apportato negli anni, perché ritengo che sia strettamente legato ai passaggi di cultura che danno sul momento gli strumenti del momento, le considerazioni però sullo scenario che realmente si trova una vittima oggi, già impaurita, spiazzata, svestita di tutto, è il vuoto.

Da considerare che nella maggior parte dei casi , le donne si trovano senza lavoro, senza soldi, proprio perché la violenza isola e rende dipendente, i casi si aggravano in presenza dei figli minori dove incombe la paura  di perderli  o ancor peggio di metterli a grave rischio, in questi momenti, in cui la donna già è ridotta psicologicamente ai minimi termini ha come unica alternativa la casa rifugio, che bene che ci sia, ma personalmente mette una tristezza infinita pensare a questa sorta di prigionia che niente a che vedere con

la ripresa della propria vita. Poi ti serve un buon avvocato, ma il buon avvocato senza soldi non l’avrai mai, un buon medico, un buon lavoro…insomma ti serve un’ inizio di vita normale.

Se penso che ci sono fondi giustissimi per le vittime di mafia ma ancora oggi non ci sono fondi per la sopravvivenza di quelle donne che non sono in grado sul momento di affrontare le necessità quotidiane senza supporto , mi chiedo dove sta nella nostra società la  parità di diritto?

Ancora oggi non ci sono tribunali specificatamente preparati per i casi di violenza alle donne,

non ci sono , a differenza di molti stati europei, misure di tutela della vittima e della sua dignità all’interno delle aule in  tribunale.

Persino il gratuito patrocinio resta una casistica lontana…

Allora da che parte si decide di stare?

Tante volte mi sono scontrata con la rabbia per vedere quanta strumentalizzazione a uso e consumo si fa e si è fatto sulla pelle di donne che non ce la faranno mai.

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