MA LE STELLE QUANTE SONO

 

Ma le stelle quante sono? Tante, troppe. . . Questa la frase scritta nella parete della camera di Alice, la protagonista del romanzo Ma le stelle quante sono di Giulia Carcasi.

Se non fosse stato per il tema del mese, Le stelle, forse non sarei stato attratto dal titolo Ma le stelle quante sono né dal romanzo stesso anche perché si presenta un po’ strano: ha titolo ed autore riportato non solo sulla prima ma anche sulla quarta pagina di copertina, rovesciato come se fosse anch’essa la prima. Cambia lo sfondo: da una parte il viso di una ragazza con, in basso, scritto Alice e, dall’altra, quello di un ragazzo con scritto Carlo. Anche i risvolti delle copertine sono rovesciati. In uno: Giulia Carcasi ha vent’anni. È nata a Roma dove vive e studia medicina. Questo è il suo primo romanzo. Nell’altro: Un libro a due facce. A due sessi. A due voci. Per un amore solo. Manca l’indice e anche le pagine sono rovesciate e la numerazione, dall’uno in avanti, inizia da una parte e dall’altra. Editore Feltrinelli, 10 euro, lo compro.

Insomma due racconti, quello di Alice e di Carlo, della stessa storia che l’autrice ha collocato non uno appresso all’altro né alternandoli, paragrafo dopo paragrafo, come fa Paolo Giordano per Alice e Mattia i protagonisti di La solitudine dei numeri primi, altro romanzo che parla di adolescenti e anch’esso opera prima di un giovane. Capisco lo schema e leggo, in parallelo, le varie fasi della storia nelle due versioni scegliendo se dare la precedenza a quella di Alice o a quella di Carlo. Simpatica trovata! 

La storia narra un pezzo di vita, un anno circa, di alcuni ragazzi: Carolina primo anno di psicologia e amica intima di Alice, Giorgio della III B, e Andrea, Ludovica, Giada, Paolo il Formica, Silvia la secchiona, compagni della stessa terza liceo dei protagonisti Alice e Carlo. È l’anno dell’esame di maturità, il liceo è un liceo classico di Roma, i ragazzi appartengono a famiglie agiate ed anche molto benestanti, i maschi hanno patente e disponibilità dell’auto.

Di cosa si occupano?

Non di studio. Le proposte scolastiche sono a distanze siderali dalle loro menti. Emblematico il prof. Ricci, di latino e greco, coi suoi trenta cm di lenti con tanto di montatura di tartaruga e che non sa neanche di avere i piedi, non ci arriva a vederli, tutto dentro alle cose sempre uguali che propina da decenni.

Non di lavoro che appartiene ad altro universo e panem et circensis è garantito dalle famiglie.

Non resta loro che occuparsi dell’unica cosa di cui, considerato che sono tutti ragazzi in ottima salute, sono dotati abbondantemente da madre natura: il sesso. Il sesso costituisce il perno attorno a cui ruotano i pensieri, le parole e le azioni dei personaggi del racconto. Ma il sesso non è solo genitalità come sembra essere in taluni cosiddetti corsi di educazione sessuale in cui si parla quasi esclusivamente di metodi contraccettivi. Il sesso è relazione e ognuno di questi ragazzi se lo gioca come il resto delle altre relazioni.

Giorgio, di bella presenza, ama affascinare, ammaliare, conquistare, ci prova, con successo, con tante, anche con le “difficili” come Alice, interessato più alla conquista che alla ragazza, l’amore di Giorgio è come un pavimento liquido su cui non puoi costruire niente. Si iscriverà a legge.

Carolina ha una relazione prolungata con un certo Marco che però pasce anche altrove. È uno stronzo, ma lo amo. Si accorda con l’altra e si presentano a Marco: siamo incinte. Marco, dopo l’immediato svenimento, capisce che è uno scherzo.

Paolo il Formica è il mito e la gente ti si appende alle labbra quando racconti che il Formica ha passato il sabato sera a cucinarsi una minestra di marija, fare le corse col motorino tarocco all’Obelisco o a pomiciare con una nel cesso di un pub, una che due minuti prima neanche conosceva.

Ludovica, forse ha poche idee ma le ha chiare, sa il fatto suo, arriva regolarmente in ritardo e regolarmente s’inventa le scuse più assurde su cui nessun professore ha mai avuto nulla da obiettare perché le dice così convinta che non si può non crederle, quattro fisso in tutte le materie, fa sesso con naturalezza, con chi gli va a genio e senza arzigogoli sentimentali. Ludovica e Paolo hanno bigiato scuola insieme, si sono trovati, si sanno prendere, nessuno dei due fa sul serio.

Giada, abbondante di peso, vive della luce riflessa da Ludovica.

Andrea capelli col crestino, alla Beckham, pantalone di Cavalli, maglietta stragriffata rosa, scarpa da barca di Praga, occhiale grande, a mosca, Mini Cooper S rossa con la bandiera dell’Inghilterra disegnata sopra il tettino, il top tra i figli di papà, non si sente a posto se non trasuda soldi, i soldi del papi, se non si va a prendere l’aperitivo ogni sera e ogni sabato sera imbarca una e la possiede.

Silvia la secchiona, con l’energia libidica spesa tutta nello studio e nel godere degli altrui guai.

Alice e Carlo, i protagonisti, hanno un’attività intellettuale più ricca, a scuola vanno bene, lui meravigliosamente imbranato, senza modelli da incarnare, senza maschere, lei si sente diversa, non omologata, è uno spirito critico e, al contempo, una sognatrice, si piacciono a vicenda ma il loro cuore è ancora poco addestrato, bravissimo a sbagliare e così Alice casca tra le braccia di Giorgio e Carlo si lascia sedurre da Ludovica.

Ragazzi normali, storie normali senza eccessi, senza casi eccezionali o patologici, che svolgono l’unica attività loro concessa: fare sesso. E lo fanno in modo adulto, maturo, con rispetto reciproco. Giorgio riesce a portare Alice al motel camera 22, numero perfetto, sono già nudi ma lei non se la sente, si riveste, ti prego, riportami a casa, lui sbuffa ma la riporta a casa. Anche Carlo non se la sente, si riveste e va via dalla stanza di Ludovica, e questa non dirà nulla, non dirà in giro che è gay.

Sotto l’aspetto sessuale, a diciotto anni, si è maturi, autonomi, adulti.

E i genitori? Assenti!

La madre di Alice, figlia di un imprenditore, durante il Sessantotto s’era stancata d’avere tutto e s’era messa a fare la rivoluzione. Il padre faceva la guerra alla borghesia. Dall’alleanza tra i due nasce Alice. Il padre conquista la borghesia, la madre lo segue nella carriera ma lui vola via. Il padre di Carlo, consuma tempo e vita tra l’ufficio e la tv. La madre occupata nella sua unica occupazione: occuparsi di Carlo. Cosa possono dire, quale modello possono offrire ai loro figli in materia sessuale? Nulla! E infatti nulla dicono durante tutto il romanzo. C’è, alla fine del racconto, una confidenza reciproca tra Alice e la madre ma è paritaria, non da madre a figlia, come una presa d’atto di quanto è accaduto. Sul piano sessuale, infatti, sono due adulte. Quando i figli diventano adulti è bene che i genitori smettano di farsi carico dei figli e si rivolgano a loro da pari a pari. Un proverbio siciliano con una immagine rende questa situazione psicologica: u lauri arasciau, il grano è diventato pari, le spighe non crescono pari ma quando maturano raggiungono tutte la stessa altezza. È il proverbio che il figlio recitava al padre: d’oggi in poi siamo pari e perciò rispetto reciproco ma da pari a pari. Questo avveniva quando i giovani diventavano adulti sia sul piano sessuale che su quello del lavoro ed erano perciò armonicamente adulti. I giovani di Ma le stelle quante sono, i giovani d’oggi, sono adulti sul piano sessuale ma lontani assai dall’esserlo su quello del lavoro e quindi anche dalla piena identità psicologica e sociale e perciò, pur avendo cognizioni e pratiche anticoncezionali, si sentono insicuri e soli. E si sentono insicuri e soli anche i genitori davanti a sti figli in parte adulti in parte adolescenti. La Carcasi racconta con efficacia, senza enunciare teoremi ma costruendo bene situazioni e personaggi, lo stato di insicurezza e di incertezza che avvolge grandi e piccoli nonché la fragilità dei due protagonisti con Alice che guarda con rimpianto all’età della sorellina Camilla tutta ancora dentro la protezione dei genitori. Le tue favole sono vere, Milla! Fammi un po’ di spazio nei tuoi sogni. Stasera sono piccola come te.    

Alla fine Alice e Carlo riescono ad incontrarsi, si innamorano e nel clima di piena fiducia reciproca fanno l’amore e il corpo sa cosa fare. Allora Alice riesce a contare le stelle perché quando trovi l’amore puoi fare tutto, puoi anche contare le stelle e nella frase sulla parete della sua camera barra Tante, troppe. . . e scrive 351. Però il racconto, anzi i due racconti, al maschile e al femminile, non finiscono con la frase “e vissero felici e contenti” perché, la Carcasi e noi, sappiamo che il grado di incertezza delle coppie è molto alto.

Romanzo senza eventi drammatici costruito attorno a storie e personaggi normali e proprio perciò coglie e racconta la drammaticità della vita nomale dell’epoca attuale.

C’è tuttavia un episodio fuori del normale. Il prof di italiano, Malari, con nota sul registro ed interventi mirati fa capire ad Alice che il suo meritato 100 è a rischio e che agli esami se la dovrà vedere con lui a meno che ella non accondiscende alle sue voglie. La ragazza rifiuta, all’esame viene massacrata e si diploma con 99. L’episodio è raccontato con toni pacati e, proprio perciò, dà una tinta forte alla solitudine dei ragazzi che, tuttavia, si risolve in una occasione di crescita. Alice non se la sente di ritirare il diploma dalle mani del Malari e delega Carlo. Malari dice che deve ritirarlo personalmente e Carlo: “Dove lo deve venire a ritirare il diploma? Nei suoi pantaloni, professor Malari?“. Subito dopo, i due ragazzi in macchina coi diplomi in mano vedono il Ricci e il Malari davanti al bar e Alice alza il dito medio della mano sinistra, glielo fa vedere a Malari e grida “Bye Malari!

Alice si iscriverà a lettere perché vuole fare la scrittrice, Carlo a medicina: che Alice e Carlo rappresentino il femminile e il maschile di Giulia Carcasi?

Ragusa, 5 novembre 2008

                                                                                  Ciccio Schembari

 

Pubblicato sul numero 40 / 2008 “Riveder le stelle” della rivista on line www.operaincerta.it

 

 

 

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